Tornando a casa, mio figlio è scoppiato a piangere: non vuole più stare con la nonna. La verità mi ha gelato.

Sono rientrata dal turno e mio figlio mi è saltato al collo. Ha stretto forte, poi si è messo a piangere: «Mamma, non voglio più restare con la nonna». Mi si è gelato il sangue quando, poco dopo, ho capito il perché.

L’ho cresciuto da sola: suo padre se n’è andato quando aveva meno di un anno. Da allora ho fatto due lavori per tenere in piedi la nostra piccola famiglia. Mia madre mi dava una mano quando poteva; a volte, quando non bastava, chiamavo una tata — ma costava troppo. Le ero grata, anche se in lei notavo delle stranezze: si dimenticava cose importanti, si perdeva a metà frase, come se avesse la testa tra le nuvole. Me lo spiegavo con l’età e la stanchezza.

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Un giorno il bambino mi chiese: «Mamma, non potresti smettere di lavorare?»
«Magari, amore», gli accarezzai i capelli. «Ma servono i soldi per l’affitto, il cibo… e i tuoi giochi. Perché me lo chiedi?»
Scrollò le spalle: «Così, per sapere». Non ci feci caso.

Qualche sera dopo, al mio rientro, mi corse incontro, mi abbracciò e scoppiò in lacrime: «Ti prego, non lasciarmi più con la nonna».
«Perché? Ti ha sgridato? Ti annoi?»
«Si comporta in modo strano… ho paura.»
«Che cosa è successo?»
Abbassò lo sguardo, la voce gli tremava: «Mi ha fatto male… Non farla tornare, ti prego».

Chiamai mia madre: mi disse che era tutto a posto, che avevano giocato, che il bambino «si inventava le storie». Ma negli occhi di mio figlio c’era un terrore vero, innegabile.

Il giorno seguente presi un permesso. Le dissi che sarei uscita per lavorare e, invece, mi nascosi nell’armadio della camera. Sentivo il cuore battermi in gola. All’inizio tutto sembrava tranquillo. Poi la vidi afferrare il polso del bambino, torcerlo e tirare fuori dalla valigia una cordicella per legargli i polsi.

Lui chiamò me. Mia madre fece un passo e gli tappò la bocca con la mano. Alzò quindi lo sguardo verso il soffitto e mormorò: «Avete visto? Ho fatto come mi avete detto». Rimase in ascolto di qualcuno che non c’era, poi rise, un riso basso e inquietante: «No, non se ne andrà… è nostro».

A quel punto spalancai l’armadio: «Mamma! Che stai facendo?»
Si voltò con gli occhi lucidi, febbrili. «Me lo dicono le voci», sussurrò.
«Quali voci?»
«Sono qui… sempre con me», disse con un ghigno, e scoppiò prima a piangere e poi a ridere, senza motivo.

Corsi da mio figlio, gli sciolsi le mani e lo abbracciai forte. Mia madre restò immobile, a bisbigliare nel vuoto. La portai subito dal medico. Dopo gli esami arrivò la diagnosi: schizofrenia.

Mi sono sentita terrorizzata e spezzata. Era pur sempre mia madre — la donna che mi aveva protetta e cresciuta — e adesso poteva mettere in pericolo il mio bambino.

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