Anton si era sempre considerato il padrone del proprio destino, un giovane intraprendente che già all’università si distingueva per la sua audacia. Mentre i compagni si immergevano negli studi, lui si dedicava a mille iniziative: dalla vendita di automobili all’assemblaggio di computer su misura. Fu in quegli anni frenetici che conobbe Albina, studentessa diligente di lingue straniere, lontana dal suo mondo fatto di conquiste e avventure. Qualcosa in lei catturò subito la sua attenzione.
Con un fascino magnetico, Anton la corteggiò con insistenza. Albina, colpita dall’attenzione di quel giovane ambizioso, cedette presto alle sue avance. “Sei meravigliosa,” le sussurrava. “Perché restare chiusa nei libri? Sposami e lascia che mi prenda cura di te.” Albina, timida, confidò il sogno di diventare traduttrice per aprirsi al mondo, ma Anton minimizzò: “Avrai modo di parlare con i miei soci.”
Alla fine, convinta dalle sue parole, accettò. Si sposarono e la vita sembrava sorridere, con l’arrivo del loro primo figlio, Dimka, seguito anni dopo dalla piccola Lenochka. Albina si immerse completamente nella maternità, pensando persino di assumere una tata per tornare al lavoro, ma Anton si oppose categoricamente: “Una madre deve occuparsi dei figli.” Così, lei correva tra casa e bambini, spesso trascurandosi.
Anton investiva tutto negli affari, concedendosi lussi come tv all’avanguardia e auto costose, ma negava a Albina anche un semplice asciugacapelli nuovo.
Gli anni passarono, i bambini crebbero e andarono a scuola, ma Albina si sentiva sempre più sola. Anton era quasi sempre assente, distratto dal telefono, e ogni invito veniva respinto con scuse per uscire con gli amici.
Poi arrivò il colpo di grazia: senza preavviso, Anton dichiarò di voler chiudere tutto. “Sono stufo di questa farsa familiare, voglio la mia libertà.” Albina, incredula, chiese: “E i nostri figli? E io?” Lui rispose con un’alzata di spalle: “Te la caverai, sei madre.” Quella sera, Anton se ne andò portando via tutto, lasciandole solo la casa.
Incapace di credere che la sua vita fosse crollata in una notte, Albina cercò lavoro per sostenere i figli, affidandoli a una vicina mentre lei lavorava come donna delle pulizie. Le risposte erano quasi sempre negative per la mancanza di esperienza. Il denaro scarseggiava, le giornate erano lunghe e faticose, e la stanchezza la sopraffaceva.
“Perché lavori sempre, mamma?” chiedeva la piccola Lenochka con voce triste. “Papà non ci aiuta?” Albina restava senza parole: Anton era praticamente sparito, versando un assegno irrisorio e ignorando le chiamate.
Un giorno, la morte del nonno la colpì duramente. Poi arrivò la sorpresa: il vecchio, oltre alla modesta casa di campagna, aveva accumulato azioni importanti, lasciandole un’eredità sostanziosa.
Stupita, Albina scoprì di poter finalmente lasciare il lavoro estenuante e dedicarsi ai figli. Investì con saggezza, riprese gli studi e aprì un piccolo caffè di quartiere, che ben presto divenne popolare. Anche se assunse personale, amava lavorare dietro il bancone, godendosi la compagnia dei clienti.
Un giorno, per sostituire una cameriera assente, si mise a servire in sala. Con sorpresa vide Anton entrare con una giovane bionda al fianco. Il cuore le balzò, ma con compostezza si avvicinò.
“Cosa desiderate?” chiese con sicurezza. Lui la guardò con disprezzo. “Albina? Cameriera qui? Pensavo ti accontentassi di meno.” La compagna rise, mentre lei preparava l’ordine senza rispondere.
Pochi minuti dopo, due uomini in abito entrarono e la riconobbero: “Albina, hai un momento per parlare del progetto?” lei sorrise: “Sto lavorando proprio qui.” Anton rimase a bocca aperta.
“Questo è il mio caffè,” disse lei con orgoglio, prima di allontanarsi verso una riunione. Sulla porta, lasciò un biglietto con il numero di Lena, la cameriera.
Anton e i suoi amici se ne andarono, e Albina sorrise, certa di aver voltato pagina. Nel suo ufficio, circondata dai soci, già progettava di espandere la sua attività.
La sua vita aveva preso una direzione nuova, migliore di quella lasciata alle spalle.