Natalja rientrò dal lavoro e, ancora prima di togliersi le scarpe, sentì che qualcosa era fuori posto. Viktor era in cucina, al telefono, parlava a voce bassa. Appena la vide, interruppe bruscamente la conversazione e appoggiò il cellulare sul tavolo.
— Ciao — disse secco, senza nemmeno alzare gli occhi.
— Buonasera — rispose lei, agganciando con calma la borsa al suo solito posto. — Con chi stavi parlando?
— Affari — tagliò corto Viktor, facendo un gesto vago con la mano.
Natalja si avviò verso il bagno. Era stata una giornata afosa, si sentiva svuotata e desiderava solo acqua fresca sul viso e qualche minuto di pace. Eppure, dentro di lei qualcosa brontolava: Viktor non si comportava come al solito. Di norma la accoglieva con un sorriso, le andava incontro, la baciava, chiedeva come fosse andata la giornata. Quella sera, invece, era freddo e distante.
A cena lui mangiò quasi in silenzio, con lo sguardo incollato allo schermo del telefono. Natalja provò più volte a intavolare una conversazione, ma ricevette solo monosillabi.
— Che succede? — chiese infine.
— Niente, va tutto a posto — mormorò lui, senza staccare gli occhi dal display.
Natalja decise di non scavare. Conosceva Viktor: se qualcosa lo tormentava, ci avrebbe messo del tempo ma alla fine ne avrebbe parlato.
Il giorno dopo lei era in smart working. Proprio mentre stava inviando una mail, il cellulare di Viktor cominciò a squillare sul tavolo del soggiorno. Lui era sotto la doccia e non sentiva nulla; il telefono squillò una seconda volta.
— Viktor, ti chiamano! — gridò Natalja.
L’acqua però copriva ogni suono. Alla terza chiamata, prese il telefono in mano.
— Pronto?
— Viktor? — chiese una voce maschile.
— No, sono la moglie. Lui è in bagno. È urgente?
— Ah, Natalja! — si rallegrò l’uomo. — Sono Denis, il fratello di Viktor. Domani passo con i documenti per la registrazione.
Il cuore di Natalja ebbe un sussulto.
— Quali documenti? — domandò, irrigidita.
— Per la residenza, ovvio. Viktor mi ha detto che sei d’accordo. Devo fare il mutuo, ma senza residenza non me lo approvano. Mi ha spiegato la situazione e ha detto che non ti dispiace.
— Capisco… — rispose lei, gelida. — Glielo riferirò.
Riattaccò e rimase seduta sul divano, il telefono stretto tra le dita. Le mani le tremavano appena.
Quell’appartamento era il suo orgoglio: l’aveva comprato anni prima del matrimonio, lavorando senza sosta e stringendo la cinghia. Aveva pagato il mutuo in cinque anni, rinunciando a vacanze e sfizi. Sul certificato di proprietà c’era scritto solo il suo nome: Natalja Vladimirovna Sokolova.
Quando Viktor uscì dalla doccia, la trovò con lo sguardo cupo, seduta immobile.
— Che faccia è? Che è successo? — chiese, infastidito.
— Ha chiamato Denis — disse lei con voce calma. — Ha annunciato che domani viene con i documenti per la registrazione.
Viktor esitò appena.
— Ah… sì — borbottò. — Proprio di questo volevo parlarti.
— Prima o dopo avergli promesso che lo avresti registrato a casa mia? — domandò Natalja.
— Non esagerare — provò a smorzare lui. — A Denis serve solo una residenza temporanea per il mutuo.
— E tu hai pensato di offrirgli la mia — disse lei, glaciale.
— La nostra — la corresse.
— È il mio appartamento — ribatté lei, articolando bene le parole. — Ti sei degnato di chiedermi almeno un parere?
Viktor si sedette vicino a lei e cercò di afferrarle la mano, ma Natalja la ritrasse.
— Amore, non fare la tirchia… Denis è di famiglia.
— Non voglio nessuno registrato a casa mia, tantomeno persone che non conosco — rispose lei.
— È mio fratello! — sbottò Viktor.
— Per me è un estraneo — tagliò corto.
Viktor cominciò a passeggiare per il soggiorno, nervoso.
— Ha un problema serio. Il lavoro ce l’ha, ma non gli basta per l’anticipo della casa — spiegò in fretta.
— E allora perché il mutuo? — chiese Natalja, sospettosa.
— Lo stipendio è basso, deve “gonfiarlo” un po’ con la residenza — farfugliò Viktor.
Lei lo osservò con attenzione. C’era qualcosa, in quella storia, che non quadrava.
— Dove viveva finora? — incalzò.
— In affitto da una ragazza — rispose il marito, evitando il suo sguardo.
— E adesso? Si sono lasciati?
— Più o meno — fece lui, scrollando le spalle.
In quel momento, a Natalja tornarono in mente vecchi pettegolezzi: Denis che frequentava una certa Victoria, soldi prestati e mai restituiti, un microcredito a nome di lei… e poi la sua scomparsa.
— Viktor — disse lentamente — ti ricordi di Victoria?
Lui aggrottò la fronte.
— Che c’entra adesso?
— C’entra eccome. Denis aveva fatto un microcredito a suo nome e poi si è dileguato. E tu vorresti portarlo dentro casa mia, concedendogli la residenza?
— Non è la stessa situazione — si affrettò a dire Viktor.
— No, infatti: questa volta al posto di Victoria ci sarei io — ribatté lei.
Viktor rimase spiazzato.
— Ormai gli ho dato la mia parola — ammise alla fine.
— Una parola che non ti apparteneva — disse Natalja. — Non avevi nessun diritto di promettere il mio appartamento.
— Ti prego, aiutami. È questione di famiglia — insistette lui.
— Della tua famiglia — lo corresse. — Io non devo nulla a Denis.
Quella sera cenarono in silenzio. Lui la osservava di sottecchi, sperando forse che si addolcisse, ma Natalja si era persa nelle pagine di un libro, la mente distante.
Verso le nove qualcuno bussò alla porta. Viktor balzò in piedi.
— Dev’essere Denis! — esclamò. — Entra, fratello! Ti faccio un tè.
Dall’ingresso, Natalja riconobbe la voce del cognato: lo aveva incontrato solo ad alcune feste di famiglia, mai davvero frequentato.
Denis entrò in soggiorno: trent’anni circa, di media statura, un sorriso sicuro e l’aria di chi crede che tutto gli sia dovuto.
— Ciao, Natalja! Come va il lavoro? — chiese con fare amichevole.
— Bene — rispose lei, asciutta.
— Siediti, racconta — lo invitò Viktor.
Denis si sistemò e prese la tazza di tè.
— Tutto procede alla grande — dichiarò. — Ho trovato un ottimo posto, con possibilità di crescita tra sei mesi.
— Fantastico — annuì Viktor.
— L’unico problema è la casa — continuò Denis. — Vivo ancora in una stanza in affitto, e senza anticipo non se ne parla di comprare nulla.
Natalja restò in silenzio. Sapeva dove stava andando a parare.
— E senza residenza non mi danno il mutuo — aggiunse Denis, voltandosi verso di lei. — Viktor mi ha detto che mi aiuterete.
— Che ti ha detto esattamente Viktor? — domandò Natalja. — Perché a me nessuno ha chiesto nulla.
Denis guardò il fratello con un sopracciglio sollevato.
— Non serviva chiedere? — lo punzecchiò.
— A volte voi uomini parlate troppo e pensate poco — commentò lei. — E non sempre quello che promettete corrisponde alla verità.
Crollò un silenzio pesante. Viktor cominciò a rigirare il cucchiaino tra le dita.
— Natalja, non possiamo dare una mano a Denis? — azzardò.
— Forse Denis potrebbe prima spiegare come sono andate le cose con Victoria — rispose lei.
Il volto di Denis si irrigidì.
— Perché tirare fuori quella storia? — bofonchiò.
— Perché hai fatto un microcredito a nome suo e poi sei scomparso, lasciandole il debito — disse Natalja con tono tranquillo.
— È stato un malinteso — si difese lui. — Alla fine abbiamo sistemato tutto.
— Sistemato? — ribatté Natalja. — Chi ha pagato quei soldi, tu o lei?
Denis si morse le labbra. Viktor lo guardò scandalizzato.
— Non sapevo niente — sbottò.
— Non importa chi sapeva cosa — concluse Natalja. — Io non intendo registrarti in casa mia.
Denis si alzò di scatto.
— Chiaro — disse freddamente. — Tua moglie è proprio tirata.
— Denis, basta — cercò di fermarlo Viktor.
— No, fallo parlare — disse Natalja. — Magari ci svela come giustifica i suoi giochetti sulle spalle delle donne.
— Io non truffo nessuno! — si inalberò Denis.
— Ma certo — annuì lei. — Victoria avrà acceso quel credito per hobby.
Denis non aggiunse altro. Si diresse verso la porta.
— Viktor, pensaci tu — buttò lì, uscendo. — Prima o poi qui ci finirò registrato lo stesso.
La porta si richiuse con uno schianto. Natalja guardò il marito.
— Lui è convinto di avere la residenza in tasca — osservò.
— Nat… — iniziò Viktor.
— No — lo fermò lei. — Non tirare più fuori questo argomento.
Viktor serrò i pugni, il viso acceso di rabbia.
— O registri mio fratello nel tuo appartamento, oppure prepara le valigie e sparisci — urlò.
Natalja appoggiò con calma la tazza sul tavolino e lo fissò. Nei suoi occhi non c’era né paura né esitazione, solo una lucidità fredda.
La mattina successiva Viktor si alzò stordito. Aveva passato la notte girandosi nel letto, ripensando alle sue parole. La compostezza di Natalja lo inquietava: avrebbe preferito pianti, urla, qualunque cosa, tranne quel silenzio deciso.
A colazione decise di insistere.
— Nat, te lo chiedo per l’ultima volta — disse poggiando il cucchiaio. — Aiuterai Denis con la residenza?
— No — rispose lei, senza giri di parole.
— Allora scegli: o accetti di registrare mio fratello, o te ne vai di casa.
Natalja lo fissò per qualche secondo, poi si alzò e si diresse verso la camera.
Viktor rimase a tavola, convinto che fosse solo una scenata. Finché non udì i cassetti aprirsi, le grucce sbattere, il fruscio dei vestiti ripiegati.
Entrò in stanza giusto in tempo per vedere Natalja sfilarsi la fede dal dito e poggiarla con cura sul comò.
— Che fai? — balbettò.
Lei non rispose. Aprì il baule, cominciò a piegare ordinatamente le sue cose.
— Nat, davvero fai sul serio? — tentò lui.
— Sì — disse a voce bassa. — Non posso vivere con chi mi tratta come un pezzo sulla scacchiera.
— Parliamone! — insistette Viktor.
— Di cosa? — ribatté. — Delle decisioni che hai già preso al posto mio?
— Rinuncio a tutto, ti giuro! Niente residenza per Denis! — promise in fretta.
— È tardi — concluse lei, chiudendo il baule. — Hai già mostrato come ragioni.
Viktor sembrava una belva in gabbia. Alla fine esplose:
— Non si distrugge un matrimonio per una registrazione!
— Il matrimonio non è crollato per una registrazione — rispose Natalja — ma per mancanza di rispetto.
A mezzogiorno tutte le sue cose erano pronte nell’ingresso. Natalja aveva messo in ordine e tolto dall’appartamento ogni traccia di lui.
Viktor, in cucina, parlava con Denis al telefono.
— È un disastro — diceva. — Nat mi ha buttato fuori. Starò un po’ da te.
Lei lo sentì, ma non intervenne. Continuò semplicemente con le sue faccende.
Più tardi lui ci provò ancora.
— Nat, ripensaci, ti prego — supplicò. — Denis conta su di noi.
— Si arrangerà — rispose lei. — I vostri problemi di famiglia non ricadono più su di me.
La sera, Viktor raccolse quel che restava delle sue cose e uscì, promettendo di tornare a prendere il resto.
— Non è un addio — disse sulla porta. — Vedrai che passerà.
— Forse — rispose Natalja. — Il tempo rimette tutto al suo posto.
— Mi ami ancora? — tentò, come un’ultima carta.
— Ti amavo — rispose lei dolcemente, ma con fermezza. — Finché non ho capito che ai tuoi occhi ero solo uno strumento.
— Non è così!
— È esattamente così — concluse. — Altrimenti non avresti deciso del mio appartamento come se fosse roba tua.
Viktor sbatté la porta e se ne andò.
Natalja rimase sola. Si preparò un tè, mise un po’ di musica di sottofondo e riprese in mano il libro che da tempo voleva finire. Per la prima volta dopo anni sentiva una pace profonda. Quell’appartamento tornava ad essere solo suo — di nome, di fatto e nel cuore.
Prese il cellulare e scrisse all’avvocato:
«Buongiorno, avvocato Petrovic. Vorrei fissare una consulenza per il divorzio. È libero domani?»
La risposta arrivò subito:
«Certamente. Le va bene alle 14:00?»
«Perfetto, grazie.»
Chiuse la chat e tornò alla lettura. Fuori il sole calava lentamente, dentro regnavano silenzio e ordine. La sua vita stava cambiando direzione: niente più ultimatum, niente più confini violati.
In una stanza in affitto, Denis stendeva una coperta su un materassino gonfiabile, lanciando occhiate astiose al fratello.
— Sei sicuro che ci ripenserà? — chiese per la terza volta.
— Sì — mentì Viktor, sdraiandosi. — Le serve solo tempo.
Ma in fondo non ne era affatto convinto. Conosceva quel modo di fare di Natalja: quando decideva, non tornava indietro.
Qualche giorno dopo arrivò una notifica: l’avvio ufficiale della procedura di divorzio. Viktor sbiancò, si infilò la giacca e corse da Denis.
— Ha depositato i documenti! — esclamò, agitatissimo.
Denis era spaparanzato sul divano, sfogliando annunci.
— E quindi? — chiese, quasi infastidito.
— Come “e quindi”? Dobbiamo fare qualcosa!
— Tipo? — Denis posò la rivista. — Se lei ha deciso, non cambi idea.
— Potevi trovarti un’altra soluzione per la residenza! — sbottò Viktor.
— Magari sì — ammise Denis. — Ma ormai è andata. E per colpa tua ho perso anche il lavoro.
— Come perso? — si bloccò Viktor.
— Il mutuo è saltato, non ho versato l’anticipo, saltavo turni per sistemare le carte… Il capo mi ha detto: o stabilità o licenziamento. Beh, indovina cos’è successo.
Viktor si lasciò scivolare su una sedia.
— Quindi sei al verde? — chiese, già conoscendo la risposta.
— Zero assoluto — confermò Denis. — Domani devo liberare la stanza. La proprietaria non mi rinnova.
— E dove andrai?
— Da nostra madre, in paese. Progetti migliori non ne ho.
Viktor capì che anche il fratello lo riteneva responsabile di tutto. E in parte non aveva torto.
Il mese seguente il tribunale pronunciò il divorzio. Viktor si presentò con una speranza appesa al filo. Natalja, invece, era composta e distaccata.
— Intendete dividere i beni? — chiese il giudice.
— No — rispose lei. — Ognuno tiene il proprio.
— Ci sono richieste o pretese reciproche?
— Nessuna — rispose con sicurezza.
Viktor rimase zitto. Le pretese le aveva, eccome, ma non ebbe il coraggio di dirle ad alta voce.
Dopo la sentenza, Natalja cambiò la serratura, ridipinse le pareti con colori chiari, aggiunse piante, fiori freschi, spostò i mobili. L’appartamento si trasformò in uno spazio luminoso, caldo, tranquillo. Le sere le passava leggendo, ascoltando musica, uscendo con le amiche. Nessuno più invadeva i suoi spazi con richieste assurde, nessun uomo decideva al posto suo, nessun parente pretendeva sacrifici da lei.
Viktor, invece, passava da un divano all’altro, ospite temporaneo di amici e conoscenti. Senza una casa stabile, senza soldi e senza un punto fermo, cominciò a capire di aver perso non solo una moglie, ma l’intero equilibrio della sua vita.
Un giorno si incrociarono per caso davanti a un centro commerciale. Natalja era serena, riposata, quasi più giovane.
— Possiamo parlare? — chiese lui, esitante.
— Certo — rispose lei.
— Sei… diversa. Ti vedo bene — disse, imbarazzato. — Dove abita adesso?
— A casa mia — replicò con un sorriso tranquillo. — E tu?
— Da amici. Sto cercando qualcosa di fisso.
Lei annuì, senza mostrarsi commossa.
— Natalja — sospirò Viktor — pensi che potremmo ricominciare?
— No, Viktor — disse con gentilezza, ma senza tentennare. — Non voglio stare con chi non riconosce i miei confini.
— Sono cambiato, lo giuro! Ho capito tutto!
— Può darsi — rispose lei. — Ma avresti dovuto capirlo prima. Prima di mettermi davanti a un aut–aut per compiacere tuo fratello.
Lui aprì la bocca per ribattere, ma lei si era già voltata. Se ne andò a passo deciso, lasciandolo lì.
Viktor capì in quel momento di aver perso la sola persona che lo avesse davvero amato. E lo aveva fatto da solo, con il suo egoismo e la sua incapacità di rispettare i limiti degli altri.
Natalja, intanto, tornò al suo appartamento luminoso: il regno dei suoi libri, del caffè fumante, delle coperte morbide e del silenzio scelto. Un luogo dove nessuno avrebbe più deciso al posto suo, e dove finalmente poteva sentirsi davvero libera e in pace.