“Un ricco imprenditore cacciò di casa moglie e figli, ma dieci anni più tardi lei tornò nella sua vita… e riuscì a portargli via ogni cosa.”

La sera di maggio avvolgeva la città con un calore lieve, come un velo trasparente steso sopra i tetti e le strade. Sul balcone della nuova casa appena fuori città, Ksenia osservava il marito Artem trafficare con il barbecue in giardino. Lera, la loro bimba di quattro anni, insisteva per aiutarlo passando oggetti a caso, mentre Maksim, sei anni, inseguiva instancabile il pallone sul prato.

— Ksjusha, scendi! — gridò Artem dal cortile. — Fra poco la carne è pronta!

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Ksenia sorrise. Guardava la sua famiglia e sentiva il cuore traboccare di gratitudine. Artem, da poco, aveva avviato un’impresa di materiali edili che stava crescendo rapidamente. Lei lo aveva sostenuto fin dall’inizio, occupandosi di conti e scartoffie, senza mai lamentarsi di aver interrotto l’università. Sognava ancora di diventare avvocato, un giorno.

— Mamma, guarda! Sto aiutando papà! — Lera mostrò con orgoglio un piatto di plastica.

— Brava, tesoro, — rispose Ksenia, scendendo in giardino con il leggero vestito estivo che le ondeggiava sulle gambe.

Artem la cinse con un braccio e le posò un bacio sulla guancia.
— Senza di te non ce l’avrei mai fatta. Sei tu la mia forza.

— Lo so, — mormorò lei, stringendosi a lui. — Siamo una squadra.

Gli anni della crescita

Cinque anni passarono in un lampo. La piccola azienda di Artem era ormai un colosso con uffici in un intero piano di un centro direzionale. Ma più l’impresa prosperava, meno Artem era presente a casa. Riunioni e viaggi d’affari lo tenevano lontano.

— Papà, verrai al mio compleanno? — chiese Maksim, con gli occhi pieni di speranza. — Compirò undici anni!

— Certo, ci sarò, — rispose Artem distrattamente, senza staccare gli occhi dal telefono.

Ksenia, apparecchiando, sospirò. Non credeva più alle sue promesse. Da mesi lui saltava feste, recite scolastiche, perfino la vacanza programmata insieme.

Una sera, quando i bambini dormivano, Ksenia si sedette accanto a lui.
— Artem, dobbiamo parlare.

— Domani, — tagliò corto, fissando il portatile. — Ho trattative importanti.

— Lo dici sempre. A me manchi. Ai bambini manchi.

Lui sbatté il portatile con irritazione.
— Non capisci? Lavoro per noi! Vuoi che butti via tutto?

— Voglio solo che ti ricordi che hai una famiglia, — ribatté Ksenia, la voce incrinata. — Oggi era il concerto di Maksim. Non ti sei nemmeno degnato di avvertire.

Artem si alzò, esasperato:
— È grazie a me se vivete bene, e tu mi rimproveri per sciocchezze!

Quelle parole rimasero sospese tra loro, più fredde di qualunque silenzio.

La caduta

Poco dopo, in ufficio apparve Vika, giovane assistente piena di ambizione. Artem cambiò: nuovi profumi, orologi costosi, serate sempre più lunghe.

— Mamma, perché papà non dorme a casa? — chiese un giorno Lera.

Ksenia la strinse forte, soffocando le lacrime:
— Perché lavora tanto, amore.

Ma dentro di lei sapeva la verità.

Poi arrivò il colpo di grazia. Artem, rientrando una sera, annunciò freddamente:
— Voglio il divorzio.

Quelle tre parole cancellarono quindici anni di vita insieme. Ksenia rimase senza fiato, mentre lui, senza esitazioni, aggiunse:
— La casa è mia. Avete una settimana per andarvene.

Così lei e i figli si ritrovarono in un piccolo appartamento di periferia, quasi senza nulla.

Rinascita

Lera piangeva per la casa perduta, Maksim si chiuse in se stesso. Ksenia sapeva che non poteva arrendersi. Trovò lavoro come cameriera in un bar grazie a Nina Petrovna, la proprietaria che ebbe pietà della sua situazione. La notte, però, tornava a studiare: si era iscritta di nuovo a Giurisprudenza, questa volta a distanza.

Passarono gli anni. Un giorno venne a sapere dei guai dell’ex marito: l’azienda era sull’orlo del fallimento, i soldi sperperati da Vika, i debiti nascosti alle banche. Con l’aiuto di vecchi amici e documenti rimasti, Ksenia riuscì a portare in tribunale prove schiaccianti delle frodi di Artem.

Il processo durò mesi, ma alla fine il giudice le riconobbe un risarcimento sostanzioso: parte dei beni aziendali passarono a lei e ai figli.

— Felice adesso? — le sibilò Artem all’uscita, pallido, logorato.

— Non è felicità, Artem, — rispose lei calma. — È giustizia.

La nuova vita

Con i soldi ottenuti comprò un appartamento spazioso. Maksim rialzò la testa, tornò a studiare musica, poi fondò un’impresa tecnologica di successo. Lera ottenne una borsa di studio per un’università prestigiosa.

Ksenia, diventata finalmente avvocato, ricostruì la sua vita mattone dopo mattone.

Anni dopo, incontrò di nuovo Artem, ridotto a un uomo comune, logorato, quasi irriconoscibile.
— Ho capito i miei errori, Ksjusha. Vorrei rimettere a posto le cose, — le disse con voce rotta.

Lei lo guardò, serena.
— È troppo tardi, Artem. I nostri figli hanno costruito il loro futuro senza di te. E io non sono più la donna che hai lasciato.

Poi si voltò e se ne andò, verso la sua nuova vita. Una vita fatta di rispetto, libertà e amore autentico: quello dei figli e di se stessa.

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