Quella mattina entrò in casa una luce diversa dal solito. I raggi tagliavano la stanza attraverso le tende leggere, ricamate con piccoli fiori di campo. Svetlana si stiracchiò: Leonid era già uscito. Si erano conosciuti sette anni prima, al compleanno di un amico comune.
Leonid, uomo discreto e poco incline alle chiacchiere, l’aveva colpita subito. Non la corteggiava con frasi fatte né con gesti plateali: semplicemente c’era. Lei, stufa di feste rumorose e storie lampo, aveva riconosciuto in lui un approdo sicuro.
Dopo due anni si sposarono senza clamore, in compagnia di pochi intimi. Lui in ufficio; lei, designer, fra casa e progetti creativi che trasformava in realtà. Cinque anni dopo arrivò la loro prima figlia. Alyona, occhi azzurri e tratti identici a quelli della madre. Per Svetlana fu una gioia immensa, arrivata dopo tentativi faticosi; si immerse nella maternità, mentre Leonid restava, come sempre, trattenuto.
«Non sei felice per Alyona?» gli chiese un giorno.
Lui sollevò lo sguardo, sorpreso: «Ma certo, Sveta.» Avvicinò la culla e rimboccò la copertina.
«È che… ti sento distante», mormorò lei.
«Soltanto stanchezza», tagliò corto, stringendola.
Passarono tre anni. Alyona era diventata una bimba sveglia e curiosa; il negozio online di arredamento su misura di Svetlana stava andando così bene che assunse un’assistente. Leonid ottenne una promozione e cominciò a passare più sere in ufficio o in viaggio. Svetlana si diceva che lo faceva per la famiglia.
Una sera lo chiamarono all’improvviso. Alyona gli si aggrappò alle gambe:
«Papà, non andare! Giochiamo!»
Lui la scostò, brusco: «Non adesso, piccola.» E uscì. A Svetlana rimase un nodo in gola.
Il mattino seguente, dopo aver messo in ordine e dato l’acqua alle piante — soprattutto al ficus regalo di Leonid —, decise di fargli una sorpresa: avrebbe cucinato la sua gallina di campagna preferita, con purè al burro ed erbe. Indossò un abito bordeaux, raccolse i capelli, trucco leggero e rossetto corallo: voleva apparire diversa.
Arrivata al business center, la receptionist la bloccò perché non aveva appuntamento. Dopo discussioni e attese, ottenne un badge e salì al piano di Leonid. Stava per bussare quando sentì ridacchiare: erano Leonid e una collega, Irina.
«Tua moglie è uno spasso!» rideva Irina. Leonid cercava di zittirla. A Svetlana tremarono le ginocchia.
Spalancò la porta. Irina la squadrò con un sorriso tagliente:
«Che sorpresa, Svetlana… senza invito.»
«Sveta, non fraintendere…» balbettò Leonid.
«Non c’è niente da fraintendere», disse lei, appoggiando il contenitore sul tavolo. «Tieniti il pranzo.»
Uscì senza aggiungere altro. Camminò a lungo, con la vista offuscata dalle lacrime, finché non raggiunse l’amica di sempre. Raccontò tutto, pianse, si svuotò.
La sera Leonid era a casa, in lacrime, a chiedere perdono.
«Domani chiedo il divorzio», rispose lei, ferma.
«Non fare sciocchezze, ero solo sotto stress…»
Svetlana abbozzò un sorriso amaro: «Di uomini così deboli non so che farmene.»
Pochi giorni dopo firmò il mutuo di un nuovo appartamento e traslocò. Si buttò nel lavoro: il negozio crebbe, aprì uno showroom. Conobbe un uomo che, come lei, aveva una figlia. E rifiorì. Scoprì che, a volte, l’unico modo per tornare a vivere è trovare il coraggio di cambiare rotta.