«Tua madre la sistemeremo in una casa di riposo, mentre mia madre verrà a vivere con noi.»

Il telefono ruppe all’improvviso il silenzio della stanza, vibrando come un animale spaventato che si destasse di colpo nel cuore della quiete. Zinaida Alekseevna trasalì: era come se quel suono avesse percorso un filo invisibile che la legava direttamente al suo cuore. Con un gesto lento e teso, si allungò verso il bordo del tavolo, afferrò la cornetta e la portò all’orecchio, come se stesse toccando qualcosa di vivo.

La voce del genero piombò dentro di lei, tagliente e arrogante:
— Allora, mamma, come va? Sei pronta a firmare il contratto? — Sembrava quasi di vederlo, col suo ghigno sicuro, convinto che lei fosse già chinata a leggere quelle carte, come se fossero la sua condanna. — Non preoccuparti, sistemeremo ogni dettaglio.

Advertisements

Zinaida guardò attorno a sé. Quel piccolo appartamento era stato il suo rifugio per quindici anni, da quando aveva perso il marito. Le pareti conservavano il calore della solitudine e delle memorie. Ora, però, le sembravano più lontane, come se stessero ritraendosi da lei. La figlia e Igor da tempo insistevano perché si trasferisse da loro, “nel calore di una vera famiglia”.

— Sì, Igor, sì… — rispose stringendo così forte la cornetta che le dita divennero bianche. — Ma vorrei rileggerlo ancora una volta… bisogna essere certi.

Lui rise, una risata falsa, graffiata come il fruscio di un vecchio vinile.
— Ma cosa vuoi capirne tu di contratti? Ho già controllato tutto io. È una casa per noi, un rifugio di famiglia. Capisci?

Lei annuì istintivamente, dimenticando che dall’altra parte lui non poteva vederla.

— Mi senti, mamma?

— Sì… capisco. Ma è tutto ciò che possiedo. Sono i miei unici risparmi.

— Ma siamo una famiglia! — ribatté lui, addolcendo la voce in un miele stucchevole. — Lo facciamo per Olya, per te. Vivremo insieme, avrai la tua stanza, il tuo bagno… Meglio di questo buco, no?

Lei abbassò lo sguardo e, in un soffio, sussurrò:
— Va bene.

— Perfetto! — esclamò Igor. — Domani alle due. Olya ti viene a prendere.

Riagganciò. Nel silenzio rimase solo il contratto, quelle pagine fredde in cui la sua casa si trasformava in cifre, e le cifre in una quota di qualcosa che non le apparteneva più.

I primi giorni nella nuova abitazione scorsero come un sogno. Zinaida si sistemò al secondo piano, in una stanza luminosa con vista sul giardino. La mattina annaffiava le violette sul davanzale, nel pomeriggio preparava dolci che riempivano l’aria di profumo. Olya la veniva a trovare prima di andare al lavoro, Igor era educato, sebbene distante. Tutto sembrava armonia.

Ma un giovedì mattina, quel fragile equilibrio si spezzò. Rumori concitati la svegliarono: voci, porte sbattute, passi pesanti, valigie trascinate. Scese di corsa in vestaglia.

In salotto trovò una donna alta, elegante, con orecchini che scintillavano come monete. Si muoveva con sicurezza, come fosse padrona di quel luogo.

— Mamma, sei già sveglia? — mormorò Olya, con un’espressione colpevole. — Ti presento Svetlana Konstantinovna… la madre di Igor.

La donna la scrutò con occhio severo.
— Ah, ecco chi era l’altra inquilina. Finalmente vi conosco.

Facchini entravano e uscivano con mobili e scatoloni. Olya abbassò lo sguardo.
— Mamma si trasferisce qui con noi, — disse a mezza voce.

Il cuore di Zinaida si strinse. Igor le si avvicinò e, senza guardarla, dichiarò:
— Hai preso tutte le tue cose? Da oggi anche mia madre vivrà con noi. Il suo appartamento lo affittiamo, così avremo un’entrata extra.

Svetlana intanto impartiva ordini come un generale:
— Quella stanza a destra! Attenti all’armadio, è pregiato!

— Ma… quella era la mia stanza, — balbettò Zinaida, tremando.

— Ti sposterai nello sgabuzzino, — tagliò corto Igor. — Mia madre ha bisogno di più spazio.

Il tono era freddo, impersonale, come se parlasse del tempo. E da quel momento, quella casa non fu più sua.

La convivenza si fece un tormento. Svetlana sostituiva ogni oggetto caro a Zinaida con arredi moderni e impersonali. Ogni ricordo spariva sotto il suo sorriso velenoso. Igor, un venerdì sera, entrò senza bussare nella stanzetta angusta:
— Stavo pensando che forse sarebbe meglio per lei una buona casa di riposo. C’è più luce, assistenza continua… sarebbe l’ideale.

La donna lo fissò con occhi colmi di dolore.
— Una casa di riposo?

— Non faccia drammi. È normale, ormai. Qui siamo in troppi.

— In troppi? — sussurrò lei. — Siamo solo in quattro.

— Appunto, — ribatté lui, voltandole le spalle. — Ci pensi. Decida entro domenica.

La figlia, in lacrime, confessò:
— Mamma, lui l’aveva pianificato sin dall’inizio. Ha usato i tuoi soldi per questa casa… e ora vuole liberarsene di te.

Zinaida le accarezzò i capelli, e dentro di sé qualcosa si spezzò per sempre.

Il mattino seguente, decise di affrontare la verità. Igor non negò, anzi parlò di “strategia”. Olya, finalmente, trovò il coraggio di guardarlo negli occhi:
— Hai tradito la mia fiducia. Da oggi voglio il divorzio.

La maschera di Igor cadde. Gridò, si giustificò, ma era finita.

Sei mesi dopo, tutto era cambiato. La casa era stata venduta, i soldi divisi. Olya aveva ricominciato da capo, ottenendo una promozione. Igor e sua madre erano solo un ricordo amaro.

Una sera, Olya prese la mano della madre e disse:
— Ti ho scelta, mamma. Perché tu sei la mia vera famiglia.

Zinaida la strinse a sé, con un sorriso fragile ma sincero.
— E io ti ho sempre aspettata, figlia mia.

Advertisements