La nebbia del mattino si stendeva sul villaggio come un velo impalpabile, avvolgendo i tetti e nascondendo le cime dei peri. L’erba, ricamata di gocce di rugiada, scintillava come se qualcuno vi avesse rovesciato una manciata di piccoli diamanti. L’aria era fresca, umida, profumata di terra e foglie autunnali. Una brezza leggera accarezzava i rami ingialliti, annunciando una giornata luminosa, ma ormai non più calda. Tra le nuvole grigie il sole faceva capolino timidamente, tingendo gli alberi di riflessi dorati.
In quel piccolo paese, circondato da campi e boschetti, ci si preparava a un evento atteso: il compleanno di Valeria Timofeevna, la madre di Aleksej e suocera di Evelina.
— Evelinushka, ricordati che verrà anche Elizaveta Arkad’evna — esordì Valeria al telefono, con voce carica d’ansia, benché mancassero ancora dieci giorni alla festa. — Ha lavorato in un ristorante, sai.
— Lo so, mamma. Stia tranquilla, sarà tutto perfetto.
— E tieni a mente: Arkadij Stepanovič non sopporta il piccante, e Tamara è a dieta… ce la farai?
Evelina annuì in silenzio, pur sapendo che dall’altra parte non poteva vederla. Dopo quindici anni di matrimonio aveva imparato a leggere ogni inflessione della voce di Valeria, distinguendo la preoccupazione autentica dal bisogno di controllo.
Per la suocera, Evelina era sempre stata “troppo semplice”: silenziosa, ordinaria, inadatta a quella famiglia che amava considerarsi speciale. Non elegante come lo era stata Valeria un tempo, né capace di lasciare il segno tra gli ospiti. Neppure gli anni dedicati al matrimonio, alla casa e al nipote avevano scalfito quel giudizio.
Il giorno della festa arrivò con un cielo terso e una luce morbida che entrava dalle finestre. Evelina era già in piedi dall’alba: mescolava, impastava, decorava. Il frigorifero si riempiva di piatti allineati con precisione, e la cucina profumava di mele e cannella.
— Le insalate sono pronte? — chiese Aleksej, sistemando la cravatta. — Mamma ha appena chiamato, stanno partendo.
— Naturalmente — rispose Evelina con un sorriso forzato. — Verranno in anticipo, come sempre, per controllare.
— È solo premura — la difese Aleksej, baciandola sulla nuca. — Vuole che tutto sia impeccabile.
Quando il campanello squillò, Evelina stava finendo la crema della torta. Si tolse il grembiule, sistemò i capelli e corse ad aprire.
— Buon compleanno, mamma! — disse Aleksej, stringendola in un abbraccio.
Valeria entrò, con lo sguardo già pronto a valutare ogni dettaglio, e il marito Stepan si caricò dei pacchi.
— Ancora con lo stesso vestito? — commentò lei, stringendo gli occhi. — Credevo te ne fossi comprata uno nuovo.
Le guance di Evelina arrossirono. Quel vestito era nuovo: lo aveva scelto con cura e pagato con l’intero bonus.
La casa si riempì presto di chiacchiere e stoviglie tintinnanti. Evelina correva dalla cucina alla sala, sempre sorridente, sempre pronta.
— Chi ha fatto quest’insalata? — domandò Elizaveta Arkad’evna.
— Evelina, ovvio! — rispose Aleksej, orgoglioso.
— Mah, non ci vuole molto: sono tutte cose comprate già pronte… — insinuò Valeria.
Il cuore di Evelina ebbe un sussulto: aveva preparato persino la maionese a mano, frustando con pazienza infinita.
Il pomeriggio scivolò tra discorsi pungenti e silenzi trattenuti. Ogni frase della suocera era una piccola freccia. Evelina sopportava, respirava a fondo, ripeteva a sé stessa: “Resisti. Non lasciarti ferire”.
Quando finalmente prese in mano il calice, la tavola ammutolì.
— Vorrei proporre un brindisi.
Tutti gli occhi si fissarono su di lei. Valeria sorrise, convinta di ricevere un elogio.
— Alla nostra festeggiata, Valeria Timofeevna — disse Evelina con voce ferma. — Alla donna che mi ha insegnato molto, soprattutto la pazienza.
Un mormorio percorse la sala. Aleksej si irrigidì. Evelina continuò:
— Ogni piatto che vedete oggi porta un po’ della sua mano: la ricetta dell’insalata, la maionese fatta in casa, perfino i libri che Ivàn legge la sera sono quelli che lei ci ha regalato. Ho capito che dietro certe critiche, anche quando sembrano dure, c’è amore. Forse non detto, ma reale.
Il volto di Valeria si addolcì. Si alzò lentamente e le prese la mano.
— Grazie, Evelina. Non pensavo tu sentissi così tanto.
La serata cambiò all’improvviso: le risate si fecero spontanee, i piatti sembrarono più buoni. Per la prima volta dopo quindici anni Evelina non era più soltanto la moglie di Aleksej, ma parte della famiglia.
Il complimento che la suocera le rivolse, quasi sussurrato davanti alla torta, valeva più di qualunque regalo:
— I tuoi dolci ormai superano i miei.
Evelina sorrise. In quel momento capì che, forse, una nuova pagina si stava aprendo.