Una cena inaspettata: quando un semplice cucchiaio diventa un’arma
Irina sistemò con cura posate e stoviglie sulla tavola, controllando più volte che tutto fosse impeccabile, come in un ristorante di lusso. “Gena non se ne accorgerà nemmeno,” si disse con un sorriso ironico. Un tempo gli importava davvero che tutto fosse ordinato, adesso sembrava non fregargli più nulla.
“Sarà che invece me ne accorgo io,” pensò Irina, spostando appena il piatto sul lato.
La porta si aprì con un colpo secco. Gennadij entrò, ancora col cappotto addosso, come se avesse intenzione di mangiare così, senza neanche sedersi davvero. Non la guardò nemmeno, come se lei fosse diventata un oggetto inutile.
“Di nuovo in ritardo,” disse lei con voce ferma, ma le dita serravano il cucchiaio con una tale forza che pareva stesse per spezzarlo.
“Lavoro,” mormorò lui, togliendosi il cappotto e appendendolo distrattamente a un attaccapanni improvvisato.
“Lavoro alle otto di sera, di venerdì,” replicò lei con un sorriso forzato. “Dai, siediti. Il gulasch è pronto.”
Lui si sedette, ma non toccò il cibo. Fece un respiro profondo e Irina sentì un nodo stringerle la gola.
“Ira, dobbiamo parlare.”
“Di cosa?” cercò di mantenere la calma, anche se dentro tremava.
“Ho conosciuto un’altra.”
Silenzio. Il cucchiaio tremò nella mano di Irina, ma non cadde. Incredibile.
“Congratulazioni,” disse a fatica. “Da quanto tempo va avanti?”
“Tre mesi.”
“Tre mesi,” ripeté lei con voce di eco. “E io che pensavo che quei capelli grigi fossero per lo stress… evidentemente erano per la felicità.”
Gennadij fece una smorfia.
“Non essere sarcastica. Non volevo farti del male.”
“Oh, certo! Volevi solo vivere una doppia vita, mentre io preparavo il gulasch, ignara di tutto. Neanche mi chiedeva dove andassi.”
Lui si alzò di scatto, facendo cadere la sedia.
“Basta! Non sopporto più questa situazione!”
“Tollerare?” Irina si alzò anche lei, guardandolo negli occhi. “Tu non hai tollerato nulla. Hai mentito ogni singolo giorno per tre mesi.”
Senza pensarci, alzò il cucchiaio e colpì un bicchiere di cristallo che si frantumò in mille pezzi, spargendosi come i resti del loro matrimonio.
“Adesso basta!” urlò Gennadij.
“Sì, basta,” mormorò Irina. “Ma questo è solo l’inizio.”
Disastro al ristorante: chi ha la meglio?
Il ristorante era elegante, costoso, con luci soffuse e camerieri che fingevano di non sentire i toni alti dei discorsi. Irina sedeva di fronte a Gennadij e alla sua nuova compagna, Milena, osservandola come se fosse un curioso esperimento.
Giovane, ovviamente. Truccata come tutte, con un orologio di poco valore e uno sguardo fiero. Ormai lei era la nuova regina nella vita di Gennadij.
“Quindi sei tu,” disse Irina sorseggiando il vino.
“Non pensavo ci saremmo incontrate così,” balbettò Milena, cercando di riprendersi.
“E invece io sì,” sorrise Irina con malizia. “Sei anche carina, peccato che le tue qualità finiscano col tuo aspetto.”
Gennadij si strozzò.
“Irina! Basta!”
“Oh, la difendi?” Irina si sporse in avanti come pronta alla battaglia. “Milena, ti ha detto che abbiamo un conto in banca congiunto? Che se succede qualcosa, lui rimane senza un centesimo perché con il divorzio la sua famiglia perde tutto?”
Milena sbiancò, come uno schermo di telefono bagnato dalla pioggia.
“Cosa?”
“Non te l’ha detto?,” fece Irina con aria innocente, ma negli occhi brillava la scintilla della vendetta. “Certo, entrare nei dettagli è inutile.”
Gennadij si alzò furioso, come se stesse per distruggere tutto.
“Stai mentendo!”
“Facciamo una verifica?” Irina tirò fuori il telefono come se stesse evocando una sentenza. “Chiamo il mio avvocato?”
Milena si alzò di scatto.
“Devo andare.”
“Adesso? Pensavo di ordinare il dessert… o forse sei solo di fretta.”
Milena afferrò la borsa e fuggì via come se avesse paura di essere presa.
Gennadij rimase muto, guardando alternarsi Milena e Irina.
“Tu hai rovinato tutto!”
“No, caro, sei stato tu.”
Freddo calcolo: chi ride alla fine
I documenti erano sparsi sul tavolo, come in una scena drammatica. Gennadij li sbatteva con rabbia.
“Tu… avevi pianificato tutto?”
Irina era calma, imperturbabile.
“No, ero solo preparata.”
“Quel contratto… l’hai firmato un anno fa, apposta!”
“Certo. Ricordi quando sei tornato tardi dal lavoro?”
Lui scagliò i fogli sul tavolo.
“Non lo firmerò!”
“Allora ci vediamo in tribunale. E finirai non solo senza un centesimo, ma con i debiti.”
Gennadij le prese la mano.
“Mi hai amato!”
“Sì. E tu?” lei gli strappò la mano. “Firmalo e vattene.”
Il nuovo inizio di Irina
Una settimana dopo si presentò a casa senza avviso.
“Ira…”
Lei aprì, ma non lo fece entrare.
“Dimenticato qualcosa?”
“Mi sono sbagliato.”
“Troppo tardi.”
“Proviamoci ancora!”
Irina rise, un suono amaro.
“Ancora? Davvero?”
“Ti amo!”
“No. Hai solo capito che Milena amava i tuoi soldi. E ora non ce ne sono più.”
Gli sbatté la porta in faccia. Fuori iniziò a piovere.
La vendetta di una donna: quando la caduta è solo l’inizio
La pioggia batteva sul davanzale mentre Irina sistemava fogli: contratti, lettere, promemoria, tutto ciò che restava del regno di Gennadij. Il profumo della carta fresca aveva un retrogusto di vittoria e tradimento.
“Pronto, Sergey Petrovich? Sono Irina. Volevo solo avvisarla: sarebbe meglio fare un audit a sorpresa nell’azienda di Gennadij. Ho sentito delle incongruenze,” disse, sistemandosi i capelli. Non era solo un consiglio, ma una sentenza.
Dopo aver riattaccato, guardò fuori dalla finestra, un sorriso sottile sulle labbra, come chi sa di aver già vinto.
Due settimane dopo, Gennadij era davanti a un ufficio chiuso: licenziato senza liquidazione, con l’ombra di un’indagine penale.
Preso dal panico, chiamò Milena.
“Pronto?” la sua voce era gelida.
“Milena, ho bisogno di aiuto.”
“Oh, Gena, sono molto occupata…”
“Ma dicevi di amarmi!” la sua voce si fece vuota.
“Ti amavo quando avevi soldi,” rispose lei senza nascondere il sarcasmo.
Gennadij rimise il telefono in tasca, il cuore spezzato. Per la prima volta in anni, sentì la terra cedere sotto i piedi.
Irina guardava tutto da lontano, conoscendo ogni dettaglio, sapendo che lui dormiva in un hotel economico, che aveva venduto l’orologio, e che Milena era già con un altro.
Sotto la pioggia, lei camminava sicura, con uno sguardo che non ammetteva dubbi.
Si fermò davanti a lui, seduto su una panchina bagnata, con l’aria di chi ancora aspetta una parola di conforto, ma nessuno arriva.
“Allora, eroe?” disse Irina, guardandolo dall’alto.
Gennadij alzò lo sguardo, con un’espressione disperata.
“Sei soddisfatta?”
“No,” rispose lei con distacco. “Non gioisco della tua caduta. Ho fatto tutto questo perché capissi.”
Si fermò, lasciando che le sue parole penetrassero nella mente di lui.
“Cosa?”
“Avrei potuto distruggerti, ma non l’ho fatto.”
Senza guardarlo negli occhi, gli lanciò una busta sulle ginocchia. “Questa è una lettera di raccomandazione e un biglietto per Sochi. Lì troverai un lavoro, non ricco, ma onesto.”
Gennadij aprì lentamente la busta, incredulo.
“Perché?”
“Perché io non sono come te.”
Irina si voltò per andarsene.
“Ira!” lui si alzò di scatto, afferrandole la mano. “Non so cosa dire.”
“Non dire nulla,” si liberò con decisione. “Ricorda solo una cosa: avrei potuto lasciarti senza niente. Ma ti ho risparmiato. Non perché ti amo, ma perché sono migliore.”
Se ne andò con la fierezza di chi ha vinto, mentre lui restava lì, stretto a quella busta, incapace di sfuggire alla realtà.
La pioggia si fece più fitta, come la consapevolezza di quanto tempo fosse stato prigioniero.
Lei se ne andò. E lui rimase a bruciare le ultime speranze di redenzione.