Oleg sbatté la porta del frigorifero con tale forza che tutto ciò che era sui ripiani tremò. Uno dei magneti cadde a terra con un tonfo sordo.
Lena gli stava davanti, pallida e con i pugni serrati.
«Allora, ti senti meglio adesso?» esalò, alzando il mento con una punta di sfida.
«Mi stai facendo impazzire,» la voce di Oleg si incrinò, nonostante cercasse di parlare sottovoce. «Che vita è questa? Senza gioia, senza prospettive.»
«Quindi è di nuovo colpa mia?» rise Lena, ma la sua risata suonava amara. «Certo, tutto è lontano dai tuoi sogni.»
Oleg voleva ribattere, ma fece solo un gesto di frustrazione con la mano. Aprì una bottiglia d’acqua, bevve direttamente dal collo e la appoggiò sul tavolo.
«Oleg, non restare in silenzio,» la voce di Lena tremava. «Dimmi chiaramente qual è il problema.»
«Che problema c’è da dire?» ringhiò lui. «Non capiresti comunque. Sono solo stanco di tutto. Basta!»
Si fissarono in silenzio per qualche secondo. Poi Lena prese un respiro profondo e si diresse verso il bagno. Oleg si lasciò cadere sul divano. Dietro la porta si sentiva il rumore dell’acqua scorrere; probabilmente Lena aveva aperto il rubinetto per nascondere le lacrime. Ma Oleg capì che ormai non gli importava più.
Erano sposati da tre anni e vivevano nell’appartamento di Lena, ereditato dai suoi genitori. Lei aveva vissuto con loro fino a quando si erano trasferiti in campagna, lasciandole la casa in città. Spaziosa ma arredata in modo semplice, con mobili quasi d’epoca.
All’inizio, Oleg era soddisfatto: la posizione era comoda, vicino al lavoro, in una buona zona. Ma dopo qualche mese la routine lo irritava. Lena si sentiva protetta tra le pareti familiari, la carta da parati marrone e l’armadio antico della nonna. Oleg, invece, la trovava grigia e statica.
«Lena, spiegami,» ripeteva spesso. «Perché non cambiamo quel linoleum giallo? O la carta da parati? Potremmo rendere tutto moderno, elegante.»
«Oleg, non abbiamo soldi per rifare tutto,» rispondeva lei con dolcezza. «Vorrei, ma aspettiamo un bonus o risparmiamo.»
«Aspettare? Questa è tutta la tua vita: aspettare, sopportare.»
Oleg ricordava come l’aveva conosciuta, una studentessa umile con occhi azzurri e sorriso gentile. Diceva agli amici: “Aspettate che fiorisca, rimarrete sorpresi.” Ora si sentiva deluso: «Non è mai sbocciata, è appassita sul nascere,» pensava, mentre la vedeva occuparsi dei vasi fragili, dare da mangiare a un gattino randagio, sistemare le foto di famiglia.
Ma Lena non si vedeva così. Viveva semplicemente come riteneva giusto, trovando gioia nelle piccole cose: un tovagliolo nuovo, una serata tranquilla con un libro, una tazza di tè, la luce calda di una lampada. Per Oleg, però, era stagnazione.
Nonostante i litigi, non voleva il divorzio; temeva di dover tornare a vivere con i genitori, con cui aveva rapporti complicati. Sua madre, Tamara, spesso si schierava con la nuora.
«Figlio, hai torto,» ripeteva. «Lena è una donna meravigliosa. Vivi nella sua casa… sii felice.»
«Mamma, cosa ne sai?» rispondeva Oleg, irritato. «Sei incastrata nella tua età della pietra, come Lena.»
Tamara sospirava, consapevole che suo figlio era lontano da loro ormai. Il padre di Oleg diceva solo: «Lascia che impari da solo.»
Ma Oleg tornava a casa sempre più irritato. «Lena è un’ombra, un topo grigio che mi tiene legato a questo appartamento,» si diceva. Durante un litigio gridò: «Una volta eri un bel fiore! Ora sono con un bocciolo congelato.»
E fu proprio allora che Lena pianse, per la prima volta in mesi.
Quel giorno parlarono seriamente di divorzio per la prima volta. Oleg era vicino alla finestra, osservando i vicini sistemare il balcone.
«Lena, sono stanco,» disse con voce bassa, fissando il vetro.
«Di cosa sei stanco?» chiese lei, cercando di mantenere la calma.
«Di questa vita, delle liti continue. Sei rinchiusa tra le tue pentole e i tuoi tovaglioli. Davvero pensi che voglia sprecare gli anni così?»
Lena rimase in silenzio per un minuto, poi prese un sacco della spazzatura e uscì dal corridoio sbattendo la porta. Tornò mezz’ora dopo, più calma.
«Forse hai davvero bisogno di stare solo. Trasferisciti,» disse appoggiandosi al muro.
«Non ci penso nemmeno,» rispose Oleg, come se fosse stato ferito. «Non lascio la mia casa.»
«Oleg, questa non è la tua casa. È quella dei miei genitori,» sorrise Lena amaramente. «Ammettiamolo: non ce la facciamo più.»
Nessuna risposta. Lena tornò nella sua stanza, mentre lui pensava: «Dove andrò? Dai miei? I rapporti sono tesi.»
Nei giorni seguenti litigarono spesso, per sciocchezze. Al centro c’era sempre la stessa cosa: l’indifferenza verso una moglie “topo grigio” e la paura di restare senza tetto.
Alla fine, Oleg perse la pazienza e chiese il divorzio, deciso a decidere lui stesso perché aveva un posto dove andare. Si trasferì dai genitori, senza entusiasmo. Lena accettò il divorzio con calma.
Passarono tre anni. Oleg pensava di riprendersi in fretta, trovare un nuovo appartamento e una nuova compagna, ma rimase bloccato. Il lavoro dava giusto il necessario e i suoi genitori borbottavano che ormai era un adulto ma ancora viveva sulle loro spalle.
Una sera fredda di primavera, tornando da un incontro con un amico, Oleg vide un piccolo caffè illuminato. Decise di entrare per riscaldarsi. Ma, appena entrato, si bloccò: davanti all’ingresso c’era Lena. La stessa donna che aveva lasciato tre anni prima, ma ora diversa: sicura di sé, curata, elegante, con uno sguardo sereno. In mano teneva le chiavi di un’auto costosa.
«Wow,» pensò Oleg, senza rendersi conto di quanto si avvicinava.
«Lena?» chiamò.
Lei si voltò, prima sorpresa, poi sorrise davvero.
«Ciao, Oleg,» disse. «Felice di vederti! Come stai?»
«Bene…» disse lui, aggiustando la sciarpa, un po’ confuso. «Ti vedo bene.»
«Diciamo che ora vivo come ho sempre voluto,» rispose Lena, senza un filo di arroganza.
«Davvero?» deglutì Oleg, inghiottendo il nodo che gli stringeva la gola. «Hai cambiato lavoro?»
«Sì, ho aperto uno studio di fiori. All’inizio ero spaventata, ma…» sorrise. «Ho trovato qualcuno che mi sostiene.»
«Chi?» chiese lui senza pensarci.
Un uomo alto uscì dal caffè e si avvicinò a Lena, mettendole un braccio sulle spalle.
«Tesoro, è libero un tavolo, andiamo?» disse.
Lena si voltò verso Oleg e presentò l’uomo:
«Lui è Vadim, lo conosci. Vadim, questo è Oleg,» sorrise, commossa dalla cura di Vadim. «Sono contenta di vederti, spero anche tu stia bene.»
Oleg annuì, mentre dentro di sé una tempesta cresceva. Quella donna era sbocciata, ma non con lui. Con un altro.
«Lena…» iniziò a dire qualcosa, forse un “perdonami”, ma le parole gli restarono in gola. «Sono felice per te, davvero.»
«Grazie, Oleg,» rispose lei calma e sicura. «Stammi bene.»
Vadim sorrise a Oleg, annuì e insieme entrarono nel caffè. Oleg sentì il freddo penetrargli nelle ossa. Chiuse gli occhi per un momento e ricordò le sue parole: «Vivo con un bocciolo congelato…» Ma quel bocciolo ora era sbocciato e lui era rimasto fuori.
Attraverso le grandi finestre vide Lena e Vadim parlare, ridere, scambiarsi sorrisi sinceri. La sua serata era rovinata. Ma non solo la serata: sentiva un vuoto profondo dentro. Un tempo avrebbe potuto essere il suo sostegno, incoraggiarla, ma aveva scelto di lasciarla andare.
Abbassò la testa e uscì dal caffè.