— Mamma, ti prego, aiutami. — Mi spiace tanto, amore, ma non ti devo niente.

— Mamma, devi aiutarmi.

— Mi dispiace, tesoro, ma non ti devo nulla.

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Queste parole rimasero sospese nell’aria, pesanti come nuvole cariche di tempesta. Ekaterina Vassilievna serrò il ricevitore con tanta forza che le nocche le divennero bianche. Dall’altro capo della linea, un silenzio opprimente.

— Cosa intendi con “non ti devo nulla”? — la voce di Elena tremava. — Sei mia madre!

Ekaterina chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Fuori, le foglie gialle danzavano nel vento, mentre l’autunno avvolgeva il mondo con i suoi colori caldi, quasi a mascherare la dura realtà.

— Lenochka, ascolta…

— No, sei tu che devi ascoltare! — interruppe Elena. — Stai vendendo la casa che tu e papà avete costruito con tanto sacrificio. TUTTA LA VOSTRA VITA, mamma! E senza nemmeno consultarmi!

Ekaterina si sedette lentamente sulla vecchia poltrona, quella dove suo marito Petya si sedeva ogni sera a leggere il giornale. Tre anni erano trascorsi dalla sua scomparsa, ma la sua presenza sembrava ancora riempire ogni angolo della casa, ogni scricchiolio del pavimento.

— E perché dovrei consultarti, cara? — chiese con dolcezza. — È la mia casa. Era nostra, ora è mia.

— Ma devi capire che è un’eredità! È il futuro mio e di Yanochka! — Elena parlava con voce rotta dalle lacrime. — E tu stai distruggendo tutto! Per cosa? Per comprare un piccolo appartamento in città?

Ekaterina guardò la foto di suo marito appesa al muro. Petya le sorrideva, giovane come trent’anni fa, quando avevano iniziato a costruire quella casa.

— Lena, tesoro, — iniziò con voce calma, — mi sento soffocare in questa casa grande… qui…

— Allora vieni a vivere con noi! Ti abbiamo già invitata!

Ekaterina sorrise amaramente. Sì, l’avevano invitata, una o due volte per cortesia. Poi erano cominciate le continue scuse: la casa troppo piccola per quattro persone, i soldi che non bastavano per una macchina nuova per Vlad, la necessità di una stanza tutta per Yanochka…

— No, Lenochka. Ho deciso. Vendo la casa, prendo un piccolo appartamento vicino al centro e…

— E cosa farai con il resto dei soldi? — domandò Elena con una punta di freddezza.

Ekaterina sentì il cuore stringersi. Sua figlia pensava solo a quello?

— Il resto dei soldi? — replicò. — Perché te ne importa?

— Mamma, smettila di fare la finta tonta! — esclamò Elena. — Vlad ha bisogno di una macchina nuova per il lavoro. La vecchia è un rottame. Pensavamo di fare un prestito, ma se vendi la casa…

— E allora? — si raddrizzò Ekaterina. — Continua.

— Potresti aiutarci! È quello che voglio dire! Sei sola, non ti serve molto. Noi invece abbiamo una famiglia, un bambino che cresce…

Ogni parola di Elena cadeva come pietre. Ekaterina guardava fuori dalla finestra, le foglie che volteggiavano, e dentro di sé sentiva nascere qualcosa di sconosciuto. Forse rancore, forse libertà.

— Sai, Lena, — disse con voce ferma, — hai ragione. Sono sola. Ed è proprio per questo che posso finalmente pensare a me stessa. Per la prima volta… quanti anni? Quaranta? Ho vissuto per gli altri: per tuo padre, per te. Ora voglio vivere per me.

— Cosa?! Come puoi…

— Posso, — rispose pacata Ekaterina. — E lo farò. Vendo la casa e spenderò quei soldi per me. Ho sempre sognato di viaggiare, lo sai. Tuo padre me l’aveva promesso, ma non c’è mai stato tempo…

Un rumore giunse dall’altro capo della linea — probabilmente Elena sbatteva qualcosa sul tavolo.

— Davvero? — sibilò. — Vuoi viaggiare! Dovresti stare in una bara, non girare per il mondo! Egoista!

Ekaterina sobbalzò, ma la sua voce rimase ferma:

— Sì, tesoro. Egoista. Finalmente.

Il rumore del telefono che cadde fece male alle orecchie. Ekaterina posò lentamente il ricevitore e si lasciò cadere nella poltrona. Le lacrime le scendevano sulle guance, ma sulle labbra le spuntò un leggero sorriso.

Sapeva di aver fatto la cosa giusta. Per la prima volta nella sua vita, assolutamente la cosa giusta.

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