Il padrone di casa ci ha fatto sgomberare per sette giorni, così suo fratello ha potuto usare l’appartamento che affittiamo.

Quando il padrone di casa di Nancy le chiese, insieme alle sue tre figlie, di lasciare l’appartamento che affittavano per una settimana, lei pensava che nulla potesse peggiorare la situazione. Tuttavia, un incontro inaspettato con il fratello del proprietario avrebbe svelato un tradimento sconvolgente.

La nostra casa non è perfetta, ma è il nostro rifugio. Il pavimento scricchiola ad ogni passo e la vernice in cucina si sta staccando, tanto che la chiamo “arte moderna”. Eppure, è un luogo colmo d’affetto. Le mie figlie, Lily, Emma e Sophie, lo riempiono di risate e piccoli momenti che mi ricordano perché combatto ogni giorno.

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I soldi sono sempre un’ansia costante. Il mio lavoro da cameriera a stento basta per pagare affitto e bollette. Non c’è margine, nessun piano di riserva. Se qualcosa va storto, non so dove potremmo andare.

Mentre stendevo il bucato, squillò il telefono.

“Pronto?” dissi, tenendolo tra spalla e orecchio.

“Nancy, sono Peterson.”

La sua voce mi gelò il sangue. “Buongiorno, signor Peterson. Tutto bene?”

“Devo chiedervi di lasciare la casa per una settimana,” dichiarò come se mi chiedesse un favore banale.

“Cosa?” rimasi pietrificata, ancora con un calzino di Sophie in mano.

“Mio fratello arriva in città e ha bisogno di un posto dove stare. Gli ho detto che può usare il vostro appartamento.”

Pensai di aver frainteso. “Aspetti un attimo, questa è la mia casa. Abbiamo un contratto d’affitto!”

“Non parliamo di quello,” rispose bruscamente. “Ricordi il mese scorso, quando hai pagato in ritardo? Avrei potuto sfrattarvi, ma ho deciso di no. Ora mi devi questo favore.”

Stringevo il telefono con forza. “È stato un solo giorno di ritardo,” risposi a fatica. “Mia figlia era malata. Gliel’ho spiegato…”

“Non mi interessa,” tagliò corto. “Avete tempo fino a venerdì per andarvene. Se no, non garantisco che possiate tornare.”

“Per favore, signor Peterson,” implorai, cercando di non mostrare la disperazione nella voce. “Non ho nessun altro posto dove andare.”

“Non è affar mio,” rispose freddamente, chiudendo la chiamata.

Rimasi seduta sul divano, fissando il telefono, il cuore che batteva forte e una morsa che mi stringeva il petto.

“Mamma, cosa succede?” chiese Lily, la maggiore, dalla porta con gli occhi pieni di preoccupazione.

Forzai un sorriso. “Nulla, tesoro. Vai a giocare con le tue sorelle.”

Ma non era nulla. Non avevo risparmi, nessun parente vicino, nessuna via d’uscita. Se avessi sfidato Peterson, lui avrebbe trovato un pretesto per cacciarci definitivamente.

Giovedì sera avevo già raccolto le poche cose che potevamo portare in qualche borsa. Le bambine chiedevano spiegazioni, ma non sapevo come raccontare la verità.

“Partiamo per una piccola avventura,” dissi cercando di sembrare allegra.

“È lontano?” chiese Sophie stringendo forte il suo coniglietto di peluche, Mr. Floppy.

“Non troppo,” risposi evitando il suo sguardo.

Il rifugio dove passammo quei giorni era peggiore di quanto avessi immaginato. La stanza era minuscola, appena sufficiente per noi quattro, con pareti così sottili che si sentiva ogni suono, ogni tosse, ogni parola dall’altra stanza.

“Mamma, qui fa troppo rumore,” si lamentò Emma, tappandosi le orecchie.

“Lo so, tesoro,” risposi accarezzandole i capelli.

Lily provava a distrarre le sorelle con un gioco, ma presto Sophie si mise a piangere, chiedendo a gran voce il suo Mr. Floppy, che avevo dimenticato a casa.

“Non posso dormire senza di lui!” singhiozzò aggrappandosi a me.

La strinsi forte, sussurrandole che tutto sarebbe andato bene, ma dentro di me sapevo che non era così.

Quella notte, mentre Sophie piangeva cercando di prendere sonno, fissavo il soffitto incrinato, sentendomi impotente.

Dopo quattro giorni non ce la facevo più a vederla soffrire. Ogni singhiozzo mi trafiggeva il cuore.

“Vado a prenderlo,” mormorai più a me stessa che a lei.

Guidai fino a casa, con il cuore in gola e mille paure. E se non mi avessero fatto entrare? E se Peterson fosse lì? Ma l’immagine di Sophie disperata mi diede coraggio.

Bussai alla porta. Mi aprì un uomo che non avevo mai visto, con un volto gentile e occhi verdi intensi.

“Posso aiutarla?” chiese curioso.

“Buongiorno,” balbettai. “Scusi il disturbo, ma sono l’inquilina. Mia figlia ha lasciato qui il suo peluche e speravo di recuperarlo.”

Lo guardai negli occhi, trattenendo le lacrime. “Il signor Peterson mi ha detto di andarmene per una settimana perché suo fratello sarebbe venuto.”

Il suo volto si fece serio. “Cosa? Mio fratello mi ha detto che la casa era libera.”

Gli raccontai tutto: la chiamata, le minacce, il rifugio. Lui ascoltò in silenzio, la mascella serrata.

“Non è giusto,” disse, tirando fuori il telefono. “Lasci che risolva.”

Quella sera, grazie a lui tornammo nella nostra casa. Sophie strinse Mr. Floppy così forte che mi vennero le lacrime agli occhi. Jack, il fratello di Peterson, rimase con noi per assicurarsi che andasse tutto bene. Con il tempo, divenne molto più di un aiuto: una parte della nostra famiglia.

Qualche mese dopo, sulla soglia di casa, mi chiese di sposarlo, promettendomi che non avremmo mai più dovuto temere per il nostro rifugio. Con lui, non trovai solo una casa, ma un compagno e un padre per le mie figlie.

Se vuoi, posso aiutarti a rendere il testo più breve o più emotivo!

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