Alice camminava svelta lungo una strada deserta, in una sera ormai calata nel buio. Il cuore le batteva forte: la paura le stringeva lo stomaco come una morsa. Aveva passato l’intera giornata chiusa in biblioteca, immersa nella stesura della sua tesi che, nel giro di una settimana, avrebbe dovuto consegnare. Non si era accorta del tempo che correva via veloce, e ora tornava a casa con passo affrettato, desiderosa soltanto di sentirsi al sicuro tra le sue mura.
Mancavano pochi metri quando un rumore improvviso le fece gelare il sangue: passi dietro di lei. Alice sentì la pelle incresparsi di brividi e tentò d’istinto di afferrare il telefono, ma prima che riuscisse a farlo una voce maschile, roca e ubriaca, risuonò nell’oscurità:
— Signorina, perché tanta fretta? Magari la accompagno io…
Alice accelerò il passo, il cuore in gola, ma quell’uomo la raggiunse e le afferrò il braccio con forza, tentando di stringerla a sé.
— È la serata perfetta per un incontro romantico! — biascicò. — Ma guarda che bellezza sei… vieni qui, non aver paura.
Lei urlò con tutto il fiato che aveva, cercando di divincolarsi, ma le forze non bastavano. Proprio allora, un senzatetto che passava poco distante notò la scena. Senza esitazione raccolse da terra una bottiglia e la colpì contro la testa dell’aggressore, che crollò privo di sensi. Alice, tremante, non riusciva a fermare le lacrime.
— Venga via subito, prima che quello si riprenda — disse l’uomo, e lei non esitò a seguirlo.
Poco dopo si ritrovarono su una strada illuminata da lampioni e insegne al neon. Alice, pur scossa, iniziò a calmarsi. Camminava accanto al suo salvatore, un uomo di circa cinquant’anni, con i capelli arruffati e gli abiti logori, segni inequivocabili di una vita trascorsa per strada. A guardarlo, il cuore della ragazza si strinse di compassione.
Giunti sotto casa, Alice si voltò verso di lui e sussurrò:
— Vuole salire? Le preparo qualcosa di caldo da mangiare.
Il volto dell’uomo si distese in un sorriso incredulo e riconoscente. Accettò, quasi timoroso, promettendo che non avrebbe preso nulla.
— Ma che dice? — ribatté lei commossa. — Non mi sarebbe mai venuto in mente di pensarlo.
A tavola, mentre lui si guardava attorno, lo sguardo cadde su una fotografia sul comò: una bambina sorridente fra mamma e papà. All’improvviso l’uomo impallidì, le mani iniziarono a tremargli, le labbra si muovevano senza riuscire a formare parole. Prese la foto con delicatezza, come fosse un oggetto sacro.
— È la mia preferita — spiegò Alice, avvicinandosi. — L’unica in cui sono con entrambi i miei genitori.
L’uomo la fissò con occhi smarriti. Poi, con voce roca, disse:
— Quell’uomo… quello sono io.
Alice rimase interdetta. Cercò di spiegargli che stava sbagliando, che quella era l’immagine di suo padre. Ma lui insistette. E mentre la sera proseguiva, tra confessioni e ricordi tornati alla luce, Nikolaj — così si chiamava — rivelò il suo passato: l’aggressione subita anni prima, la perdita di memoria, i lunghi anni di solitudine e di vita randagia. E poi, quel neo a forma di cuore sul polso, identico a quello di Alice, che fugò ogni dubbio.
La verità, rimasta sepolta per decenni, era tornata a galla. Padre e figlia si abbracciarono, uniti da lacrime e sorrisi. Da quel momento Alice giurò a se stessa di non lasciarlo mai più, di colmare il vuoto degli anni perduti e restituirgli finalmente un posto nella famiglia e nel cuore.