Se desideri la traduzione completa del racconto, posso occuparmene.

«Buongiorno. La mamma è in casa?» chiese un uomo sconosciuto quando Yulia spalancò la porta.

«Sì…» annuì lei, poi alzò la voce: «Mamma, è per te!»

Advertisements

«Ma senti…» la madre uscì dalla cucina asciugandosi le mani. «Non riesci a fare nulla senza di me?» stava per brontolare, poi si immobilizzò. Sul viso le passò un lampo di stupore che in un attimo tornò a spegnersi nell’espressione di sempre.

«Yulia, vai in camera tua» disse piano.

«Preferirei che restasse» intervenne l’uomo. «Non mi presenti e non mi inviti a entrare?»

Yulia guardò prima sua madre, poi lo sconosciuto, e di nuovo sua madre.

«Va bene… entra» cedette infine la donna.

Proprio allora l’ascensore si aprì sul pianerottolo: era il corriere che madre e figlia stavano aspettando. Se non fosse stato per lui, Yulia non avrebbe mai aperto a un estraneo. Ritirò il pacco, chiuse la porta e raggiunse la cucina, dove i due si erano già spostati.

«Yulietta, ti presento…» disse la madre con una calma forzata. «Questo è Andrej Sergeevič. Tuo padre.» Distolse lo sguardo. E Yulia rimase a osservare quell’uomo che, d’un tratto, non era più un perfetto sconosciuto. Davvero era lui suo padre? Dio, quanto aveva desiderato averne uno da bambina. Tutte le amiche ce l’avevano, lei no. Era convinta che la sua vita sarebbe stata diversa se lui fosse stato presente: l’avrebbe aiutata con i ragazzi, con cui non riusciva mai a costruire qualcosa di stabile. Ma lui non c’era mai stato… E lei adesso cercava di rimettere insieme i pezzi con l’aiuto della terapeuta.

«Perdonami, figlia mia. È andata così… Ma vedi, ora sono qui» disse Andrej. «Meglio tardi che mai, no?»

Yulia lo fissò in silenzio, sulle difensive. Una sola domanda le rimbombava in testa: perché?

«All’epoca avevo paura delle responsabilità. Adesso no» aggiunse lui.

«E perché sei venuto?» lo incalzò la madre. «Credevi davvero che ti saremmo corse incontro? L’ultima volta che abbiamo parlato hai detto che bisognava ancora dimostrare che Yulia fosse tua figlia. Non vale più?»

Yulia vide le labbra della madre serrarsi: sapeva che quello era il segno della rabbia.

«Maša, ho capito» disse Andrej.

«Hai capito, certo. Meglio ricordarsi di una figlia a vent’anni che quando è appena nata» ribatté lei.

«Maša, su, non essere così» scosse il capo l’uomo.

«D’accordo. Cosa vuoi da lei?»

«Yulia, vorrei conoscerti. Recuperare un po’ del tempo perso» propose lui. «Non ogni giorno: una, due volte al mese potremmo vederci. Se ti va. E… magari posso esserti utile in qualcosa.»

«Va bene. Non sono contraria» mormorò Yulia.

Andrej lasciò il suo numero e se ne andò.

«Yulia, ti prego: stai attenta» la mise in guardia la madre. «Lui viene da una famiglia ricca, e tutti erano contro di me. Pensavo che avremmo resistito insieme, invece mi ha lasciata. Quando gli dissi della gravidanza, negò che il bambino fosse suo» sospirò. «Per questo il suo nome non compare nel tuo certificato di nascita.»

«Lo so, mamma. Non preoccuparti» rispose Yulia. «Mi chiedo solo perché sia ricomparso proprio adesso. Ho la sensazione che stia tramando qualcosa.»

«Di sicuro. Non fa mai niente per niente» annuì la madre.

Con il tempo Yulia cominciò davvero a uscire con il padre. All’inizio con riluttanza—soprattutto quando lui le chiese un test del DNA—poi sempre più spesso. Quasi senza accorgersene, iniziò a cambiare atteggiamento verso la madre. Cominciò a pensare che fosse colpa sua se lui le aveva abbandonate. A ogni incontro Andrej seminava “per caso” dettagli spiacevoli su Maša. Alla fine, Yulia non riuscì più a vivere in quella casa.

«Perché non vuoi più stare con me?» chiese la madre mentre la figlia riempiva la valigia.

«Ho vent’anni, è ora di cavarmela da sola.»

Maša capì che dietro quella decisione c’era ben altro.

«Ti prego, stai attenta a tuo padre» ripeté ancora.

E Yulia esplose: «Mamma, se non ho avuto un padre è colpa tua! Perché continui a dire che lui è cattivo? La sbagliata sei tu! Se non fosse stato per le tue scenate…»

Si fermò: la madre era uscita dalla stanza. Yulia chiuse la valigia e se ne andò. Sulla soglia sperò, per un istante, che la madre la fermasse. Non lo fece. Chiamò l’ascensore, scese.

Guardò l’ora: il padre avrebbe dovuto già essere lì, ma non c’era. Squillò il telefono.

«Papà, dove sei?»

«Mi hanno trattenuto, ma hai la chiave. Vai tu, io arrivo stasera. Prendi un taxi, ti mando i soldi» disse lui.

A Yulia non piacque, ma sapeva che era un uomo impegnato. Accettò.

«Maša, cosa puoi farci?» l’amica Svetlana passò a trovarla. «A un certo punto bisogna lasciarli andare.»

«Lo so. Ma Andrej le ha riempito la testa. Vedo come Yulia è cambiata. Adesso dice che è colpa mia se lui se n’è andato! Io le ho spiegato che non è vero, che forse le serve per qualche suo scopo. Ma non mi ascolta.»

«È una fase. Passerà» la consolò Svetlana.

«Forse ho sbagliato tutto. Forse non sono stata una buona madre» Maša scoppiò a piangere.

«Hai fatto quello che potevi. Capirà» assicurò l’amica.

Qualche giorno dopo, Svetlana tornò: «Hai chiamato Yulia?»

«No. Non vuole parlarmi.»

«Ho mandato mia figlia Lena a incrociarla, così… per caso» confessò.

«Perché?»

«Perché mi preoccupo per voi. Ho notato che Yulia ha cambiato stile: ora sembra la figlia di Andrej. Stessi colori, stessi tagli, stessa immagine.»

«E quindi?»

«Forse vuole farla passare per la sua “figlia ufficiale”. Ho un brutto presentimento.»

«E Lena che dice?»

«Che tutto va bene: lavora con lui, posizione prestigiosa… Ma io non mi fido.»

A lezione di filosofia Yulia non seguiva una parola. Si guardava intorno sorridendo: era felice. Finalmente vestiva alla moda, aveva denaro, il padre la veniva a prendere con un’auto costosa. Ma sentiva anche il peso di quella dipendenza: doveva vestirsi come diceva lui, niente piercing, comportarsi da “brava ragazza”.

«Se non ti sta bene, torna da tua madre» le aveva tagliato corto.

Come avrebbe potuto? Aveva già messo da parte se stessa per compiacerlo.

Quel giorno Andrej venne a prenderla: «Ho visto il tuo orario. Lavorerai con me, come assistente.»

«Io?!»

«Sì. Ti faccio un contratto. Un ottimo inizio, no?»

«Papà! Fantastico!»

«Brava. Ti ho portato dei tailleur. Mettili nei giorni di lavoro. Sei una figlia in gamba» la lodò.

Quelle parole le scaldarono il cuore.

Una sera andarono a cena con un cliente. L’uomo che arrivò le rivolse uno sguardo che non le piacque affatto. Dopo mezz’ora se ne andò.

«Gli sei piaciuta. È pronto a sposarti» disse Andrej.

«Cosa?! Stai scherzando?»

«Ovviamente. Volevo vedere la tua reazione. Ma è molto ricco, sai?» soggiunse.

Dentro Yulia scattò una sirena: pericolo. Capì che suo padre non scherzava affatto.

Il giorno dopo intercettò Lena all’università: «Ciao! Ho bisogno di parlare con mia madre.»

«Chiamala!»

«Ho paura che il mio telefono sia sotto controllo…»

«Usa il mio» disse Lena porgendoglielo.

«Devi lasciare il lavoro, chiedere il congedo e andare via» disse la madre tra le lacrime. «Vuole farti diventare “direttrice” per farti firmare carte…»

«Una ventunenne direttrice? Ma dai! Per ora non firmo nulla, assisto alle riunioni.»

«Vai all’università per il congedo. In ufficio prepara la lettera di dimissioni: la infili tra i documenti e gliela fai firmare insieme agli altri. Io intanto penso a dove andare.»

Yulia seguì il piano. Lasciò telefono e borsa, si travestì, consegnò le chiavi a Lena. Scrisse la lettera e la nascose tra le carte.

«Andrej Sergeevič, dobbiamo firmare subito prima della partenza!» gridò la segretaria.

«Yulia, vengo a firmare.»

«Ti aiuto» disse lei, indicando dove apporre le firme.

«Grazie, Yulia. Sai… “Yulia” non suona bene con il mio cognome. Lo cambiamo quando torno.»

«Si può?»

«Si deve.»

Lui partì. Yulia rientrò nel suo ufficio: aveva cinque giorni per muoversi.

«Hai fatto tutto?» chiese la madre.

«Sì. Ho lasciato tutto, cambiato abiti, dato chiavi e lettera. Devo portare anche la parrucca?»

«No. Appena saliamo sul treno, la togli» disse Maša.

«E l’università?»

«Ci penseremo. Ora dobbiamo sparire.»

«Dove andiamo?»

«In un’altra città. Lì nessuno ci conosce. Se lui ci cerca, non ci troverà.»

Li avrebbero cercati? Non lo sapevano. Ma si trasferirono. Trovarono un appartamento modesto, un lavoro al supermercato, e ricominciarono in silenzio.

«Yulia, vieni! Guarda!»

In TV andava in onda un servizio su un matrimonio sfarzoso. Lo sposo era proprio quel cliente della famosa cena. La sposa era…

«Sua figlia» disse Maša. «Voleva che tu le somigliassi. Non voleva darla a quell’uomo… ma ha dovuto. A te è andata bene, Yulia.»

Yulia annuì.

«Sì. In questa storia, per una volta, la fortuna è stata dalla mia parte.»

Advertisements