Non vedevo mia figlia da tredici anni, da quando mia moglie mi lasciò per un altro uomo portandola con sé.
Eppure, proprio ieri, ho trovato nella cassetta della posta una busta indirizzata a “Nonno Steve”. Nel leggerla, il cuore mi si è fermato.
Erano passati tredici lunghi anni dall’ultima volta che avevo visto Alexandra. Allora aveva solo 13 anni, io 37. Ricordo come fosse ieri quel giorno d’estate soffocante in cui tutto crollò: rientrando dal lavoro, trovai Carol, la mia ex moglie, seduta composta al tavolo della cucina. Sembrava aspettasse solo quel momento.
All’epoca lavoravo come capocantiere a Chicago. Non era un’azienda enorme, ma costruivamo di tutto: strade, uffici, edifici residenziali. Passavo giornate intere sotto il sole cocente o nel gelo pungente, ma lo facevo per la mia famiglia. Il proprietario della ditta, Richard, amava ostentare lusso e ricchezza. Era elegante, sicuro di sé, con feste sontuose e macchine costose. Tutto ciò che Carol bramava. Io, invece, mi sentivo sempre fuori posto. Forse, se avessi prestato più attenzione, avrei capito prima cosa stava per succedere.
«Steve, non funziona più», disse lei con voce fredda, quasi recitando un copione.
«Di cosa stai parlando?» balbettai.
«Me ne vado. Richard ed io ci amiamo. Alexandra verrà con me: merita una vita migliore di questa.»
Quelle parole mi colpirono come pugnalate. Avevo dato tutto per la mia famiglia, anche se non potevo offrirle sfarzi. Ma Carol voleva di più, sempre di più. Così, se ne andò, portandosi via mia figlia e il mio mondo.
Provai a restare nella vita di Alexandra, ma Carol avvelenò tutto: telefonate ignorate, lettere senza risposta. Con il tempo, per mia figlia smisi semplicemente di esistere. Io, intanto, caddi in una spirale di dolore. Persi la salute, la casa, il lavoro. Richard non mi licenziò: in fondo fu quasi una liberazione. Carol, nel frattempo, si trasferì lontano con Alexandra, e io non rividi più mia figlia.
Gli anni scorsero. Non mi risposai mai. Rimisi in piedi la mia vita, fondai una mia piccola impresa edile, ritrovai stabilità economica, ma non colmai mai la solitudine. A cinquant’anni avevo un appartamento dignitoso, vivevo decorosamente, ma dentro di me la speranza di ritrovare Alexandra non si era mai spenta.
Poi, ieri, la svolta inattesa: una lettera scritta con grafia infantile, indirizzata a “Nonno Steve”.
Le mani mi tremavano. Io non ero un nonno… o almeno così credevo. La aprii e lessi la prima frase:
«Ciao Nonno! Mi chiamo Adam. Ho sei anni. Sei l’unica famiglia che mi resta…»
Quelle parole mi tolsero il respiro. Adam scriveva da Saint-Louis, dove viveva in affido. Parlava di sua madre, Alexandra, che lo aveva nominato una sola volta. Alla fine, la sua supplica:
«Per favore, vieni a prendermi.»
Non persi tempo. Prenotai subito un volo. Quella notte non chiusi occhio, travolto da mille domande: com’era possibile che avessi un nipote? Dov’era Alexandra? Perché il bambino era in affido?
Arrivato alla Santa Ana Children’s Home, la signora Johnson, la direttrice, mi raccontò tutto. Alexandra, dopo una gravidanza fuori dal matrimonio, aveva cercato di crescere Adam da sola, facendo lavoretti mal pagati. Poi conobbe un uomo facoltoso, ma lui non voleva occuparsi di un figlio non suo. Così lei, disperata, lasciò Adam in affido, sperando trovasse una famiglia migliore.
Il bambino, però, aveva scoperto il mio nome e, con l’aiuto della direttrice, mi aveva scritto.
Quando lo vidi per la prima volta, mi si fermò il cuore: capelli castani arruffati, grandi occhi azzurri identici a quelli di Alexandra, un camioncino giocattolo stretto tra le mani.
«Ciao», disse timidamente.
Mi inginocchiai davanti a lui. «Ciao Adam. Sono tuo nonno.»
Gli occhi gli si illuminarono e, senza esitazione, mi corse incontro.
«Sapevo che saresti venuto!» esclamò stringendomi forte.
In quell’abbraccio, ogni rancore, ogni dolore, ogni solitudine si dissolsero. E capii una cosa: il ciclo di abbandono finiva con me. Adam non avrebbe mai più conosciuto quella sensazione di essere lasciato indietro.
Il percorso legale sarebbe stato lungo — pratiche, test del DNA, tribunali. Ma dentro di me non avevo dubbi: Adam sarebbe tornato a casa con me.
La vita è strana. Tredici anni fa credevo di aver perso tutto. Oggi, con un nipote tra le braccia, ho finalmente ritrovato un senso.
L’amore, quando meno te lo aspetti, trova sempre la strada per tornare.