Quando la mia bambina di quattro anni, Chloe, mi supplicò di andarcene subito da casa della mia fidanzata Lily, capii all’istante che c’era qualcosa che non tornava.
Non era un capriccio. Non era la solita timidezza da “posto nuovo”. Era paura vera, nuda, quella che ti stringe lo stomaco e ti fa tremare la voce. E per quanto avessi voglia di rassicurarla, non potevo ignorare l’urgenza con cui mi afferrò il braccio.
«Chloe, non dimenticare la giacca!» le gridai prendendo le chiavi dal mobile all’ingresso.
«Non mi serve, papà!» rispose lei dall’armadio della sua cameretta, con la voce ovattata. La immaginai mentre infilava, con la solennità di un rito, le sue sneakers con i brillantini — quelle che chiamava “le scarpe magiche”.
Sorrisi tra me e me. A quattro anni Chloe aveva già un carattere che non ammetteva repliche.
Crescerla da solo, però, non era una favola. La mia ex moglie, Lauren, se n’era andata quando Chloe non aveva ancora compiuto un anno. Aveva detto — senza cattiveria, quasi con distacco — che la maternità non faceva per lei. E così, da allora, eravamo rimasti solo io e Chloe.
Il primo anno fu un inferno dolce: pianti interminabili, notti spezzate, caffè freddo e la sensazione costante di stare improvvisando la parte più importante della mia vita. La cullavo per ore finché non si addormentava… per poi vederla risvegliarsi appena la posavo nel lettino, come se il mondo intero fosse un posto troppo grande per lasciarla sola.
Col tempo trovammo il nostro ritmo. E poi, tre mesi prima, era entrata Lily nella mia storia.
La incontrai in un bar: io, come sempre, ordinai un caffè nero, senza zucchero né panna. Lei era dietro di me in fila, avvolta in una sciarpa rossa e con un sorriso difficile da ignorare.
«Tu sei uno che avrebbe bisogno di qualcosa di più forte del caffè» scherzò.
Quella frase aprì una conversazione, la conversazione divenne un appuntamento, e l’appuntamento… be’, divenne Lily. Calda, spontanea, facile da ascoltare. Chloe l’aveva già vista un paio di volte e — cosa rara — sembrava a suo agio. Mia figlia non era diplomatica: se qualcuno non le piace, lo dichiara come un verdetto. Vederla sorridere accanto a Lily mi dava speranza.
«Siamo arrivati?» chiese Chloe, schiacciando il naso contro il finestrino.
«Quasi» risposi, trattenendo una risata.
Quella sarebbe stata la nostra prima visita a casa di Lily. Cena, film, una serata semplice. Chloe ne parlava da giorni, come se fosse un’avventura.
Quando parcheggiai davanti al palazzo, Chloe sussultò come se avesse visto un castello.
«Papà! Ha le lucine delle fate!»
Alzai lo sguardo: sul balcone brillavano piccole luci dorate, soffuse, accoglienti.
«Sono carine, eh?» le dissi.
La porta si aprì ancora prima che bussassimo. Lily comparve sulla soglia con un’espressione raggiante.
«Ehi, voi due! Entrate, entrate. Fuori si gela.»
Chloe non se lo fece ripetere: entrò correndo, e le sue scarpe lampeggianti fecero scintille sul pavimento come piccoli fuochi d’artificio.
L’appartamento di Lily era esattamente come lei: caldo, curato, pieno di dettagli che davano l’idea di una casa “vera”. Un divano giallo morbido, cuscini colorati disposti con precisione, scaffali carichi di libri e fotografie incorniciate. In un angolo, un alberello di Natale brillava ancora, nonostante fosse gennaio.
«È bellissimo!» esclamò Chloe girando su sé stessa.
Lily rise. «Grazie, Chloe. Ehi, ti piacciono i videogiochi? Ho una console in camera. Se vuoi, puoi provarla mentre io e papà finiamo la cena.»
Gli occhi di Chloe si illuminarono. «Davvero? Posso?»
«Certo. Vieni, ti accompagno.»
Le guardai sparire nel corridoio e, per un istante, mi sentii stranamente fortunato.
In cucina l’aria era piena di profumi: aglio, rosmarino, qualcosa che sfrigolava in forno.
«Allora» disse Lily posando una teglia di verdure arrosto sul piano, «ci sono storie imbarazzanti della tua infanzia che dovrei sapere?»
«Oh, ce n’è un’enciclopedia» ammisi ridendo. «Ma prima voglio una tua.»
Lei fece finta di pensarci, poi sorrise. «Quando avevo sette anni ho deciso di “aiutare” mia madre a ridipingere casa. Solo che ho usato la colla glitter. Diciamo che le pareti bianche non hanno mai più avuto pace.»
Risi forte. «Sembra esattamente una cosa che farebbe Chloe.»
Lily stava per rispondere quando Chloe comparve sulla soglia.
E il mondo cambiò colore.
Era pallida. Gli occhi enormi, lucidi. Il labbro le tremava come se dovesse trattenere un singhiozzo.
«Papà» disse piano, «devo parlarti. Da solo.»
Mi asciugai le mani e la seguii nel corridoio. Mi accovacciai alla sua altezza, cercando di tenere la voce stabile.
«Amore… che succede? Ti sei fatta male?»
Chloe lanciò uno sguardo rapido verso la stanza di Lily, come se temesse che qualcosa potesse uscire da lì. Poi tornò su di me.
«Lei è cattiva» sussurrò. «È… davvero cattiva.»
«Chi? Lily?» chiesi, incredulo. Dietro di noi, dalla cucina, arrivava il suono tranquillo di Lily che canticchiava mentre mescolava qualcosa in pentola.
Chloe annuì con energia, gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono… teste nel suo armadio. Teste vere. Mi guardavano.»
Per un secondo rimasi senza fiato. La mente cercò appigli razionali: fantasia, equivoco, scherzo… ma Chloe non scherzava. Chloe era terrorizzata.
«Teste?» ripetei, più piano. «Che tipo di teste, tesoro?»
Lei singhiozzò. «Teste di persone! Sono paurose, papà. Ti prego… andiamocene.»
Mi si chiuse lo stomaco. Anche se mi sembrava assurdo, una cosa era certa: mia figlia aveva paura e io non potevo permettermi di dubitare di lei. La presi in braccio.
«Va bene. Va bene, amore. Andiamo via.»
Chloe affondò il viso nella mia spalla e mi strinse come se il corridoio fosse un mare agitato.
Lily si voltò, preoccupata. «Ehi… tutto bene?»
«Non si sente bene» dissi in fretta, evitando i suoi occhi. «Mi dispiace, dobbiamo rimandare.»
Il volto di Lily si addolcì. «Oh no… Chloe, stai male?»
«Starà meglio» mormorai. «Ti chiamo dopo.»
Uscii con il cuore che martellava.
Guidai fino a casa di mia madre come in trance. Chloe, sul sedile posteriore, stava in silenzio con le ginocchia raccolte e le mani intrecciate. Ogni tanto guardava fuori dal finestrino come se aspettasse di vedere qualcosa inseguirci.
«Tesoro» dissi con delicatezza, guardandola nello specchietto, «sei sicura di quello che hai visto?»
Annuì senza esitazione. «Sì, papà. Erano vere.»
Parcheggiai nel vialetto di mia madre, consegnai Chloe al suo abbraccio e improvvisai una scusa.
«Devo controllare una cosa, torno subito.»
Mia madre mi scrutò. «Che succede?»
Forzai un sorriso. «Niente… solo una cosa.»
La verità era che non riuscivo a respirare. Se Chloe aveva frainteso, dovevo dimostrarle che era al sicuro. Se invece… se invece non aveva frainteso… allora non volevo nemmeno completare quel pensiero.
Tornai da Lily con un nodo alla gola.
Mi aprì la porta con lo stesso sguardo perplesso di prima. «Così presto? Chloe sta meglio?»
Esitai un secondo, poi mi aggrappai alla prima idea che mi sembrò “normale”.
«Starà bene. Senti… posso provare un attimo la tua console? Ho bisogno di distrarmi. È da una vita che non gioco.»
Lily inarcò un sopracciglio. «Richiesta insolita… ma certo. È in camera.»
Percorsi il corridoio con la sensazione che ogni passo fosse più pesante del precedente. Arrivato davanti all’armadio, sentii le mani sudate. Presi fiato e abbassai lentamente la maniglia.
Dentro, allineate come sentinelle, c’erano quattro “teste” che fissavano nel buio: un volto da clown con un sorriso deformato, un’altra con una finta pelle arrossata e tagli, una maschera coperta da un drappo rosso strappato. Sembravano terribilmente reali.
Il cuore mi saltò in gola.
Allungai la mano, quasi tremando, e ne toccai una.
Morbida. Elastico. Gomma.
Maschere. Maschere di Halloween.
Un’ondata di sollievo mi attraversò così forte che quasi mi sedetti per terra. E subito dopo arrivò un’altra ondata: il senso di colpa. Avevo invaso lo spazio di Lily. Avevo lasciato che la paura mi trasformasse in qualcuno che fruga.
Chiusi l’armadio e tornai in cucina. Lily mi porse una tazza di caffè e mi guardò in volto, come se sapesse già che c’era qualcosa.
«Tutto bene?» chiese.
Mi passai una mano tra i capelli. «Devo confessarti una cosa.»
Lei incrociò le braccia, ma senza durezza. «Okay… mi stai spaventando.»
Presi fiato. «Chloe prima era fuori di sé. Ha detto di aver visto… teste nel tuo armadio. Pensava fossero… vere.»
Lily sbatté le palpebre. «Teste?»
«Lo so come suona.» Mi affrettai. «L’ho portata da mia madre e poi sono tornato. E… ho guardato.»
Il volto di Lily cambiò: prima sorpresa, poi indignazione — e poi, improvvisamente, una risata incredula le esplose dalle labbra.
«Aspetta… davvero? Pensava fossero vere?» rise, portandosi una mano alla bocca. Ma quando vide quanto ero teso, la sua risata si spense. «No, aspetta. Era così spaventata?»
Annuii. «Tremava. Non l’ho mai vista così.»
Lily abbassò lo sguardo, colpita. «Poverina… non ci ho proprio pensato. Quelle maschere le tengo lì da una vita. Avrei dovuto metterle in alto, o chiuderle in una scatola.»
«Non sa ancora che sono maschere» dissi. «E non so come farle capire che non c’è nulla di pericoloso.»
Lily sollevò lo sguardo, e in quel momento vidi la Lily che mi aveva fatto innamorare: concreta, gentile, pronta a sistemare le cose.
«Ho un’idea» disse. «Ma mi aiuti.»
Il giorno dopo, Lily arrivò a casa di mia madre con una borsa a tracolla. Chloe sbirciava da dietro il divano, pronta a scappare al minimo segnale.
Lily si inginocchiò al suo livello con una dolcezza quasi prudente.
«Ciao, Chloe» disse piano. «Posso farti vedere una cosa?»
Chloe si aggrappò alla mia mano. Poi annuì, minuscola.
Lily tirò fuori una maschera buffa, con un sorriso esagerato, e se la infilò.
«Guarda… vedi? Non è una testa. È una maschera, per Halloween.»
Chloe spalancò gli occhi. Il terrore, lentamente, si trasformò in curiosità.
«Non è… vera?» sussurrò.
«No» rispose Lily togliendosela. «Tocca. È solo gomma.»
Chloe allungò la mano, sfiorò la maschera con cautela, poi premette il naso di gomma e fece una faccia sorpresa.
«È morbida!» disse, e per la prima volta tornò una luce nei suoi occhi.
«Esatto!» Lily sorrise. «Vuoi provarla tu?»
Chloe scoppiò a ridere quando se la mise e Lily fece finta di spaventarsi.
«Oh no! Dov’è finita Chloe?»
«Sono qui!» strillò lei, togliendosela e ridendo più forte.
In quel momento sentii un nodo sciogliersi nel petto: non solo la paura di Chloe, ma anche la mia.
Mesi dopo, al parco, Chloe tirava la mano di Lily con la naturalezza di chi non si fa più domande.
«Mamma Lily, mi spingi sull’altalena?»
Lily la guardò con un sorriso caldo. «Certo, tesoro.»
Io le osservai insieme, e capii che quella sera, che poteva spaccarci, invece ci aveva cuciti. Con la verità. Con un po’ di pazienza. E con la semplice, potente lezione che la fiducia non è una cosa che si pretende: si costruisce, un gesto alla volta.
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Quest’opera è ispirata a persone ed eventi reali, ma è stata romanzata per finalità creative. Nomi, dettagli e personaggi sono stati modificati per tutelare la privacy e valorizzare la narrazione. Ogni somiglianza con persone reali, vive o defunte, o con eventi reali è puramente casuale e non intenzionale.